Il trasferimento transnazionale della sede sociale

01/06/2006

di Alberto Righini

Il trasferimento della sede sociale all’estero, dal punto di vista della pratica professionale, è un’operazione su cui, negli ultimi tempi, sta convergendo un sempre maggiore interesse anche, ma non solo, in corrispondenza del crescente fenomeno della delocalizzazione delle imprese, quale leva strategica per gestire l’attuale crisi del sistema economico. La localizzazione delle attività produttive in mercati che offrono approvvigionamenti molto competitivi, sia in termini di materie prime ma soprattutto di manodopera, o in ordinamenti con sistemi fiscali meno onerosi, rappresenta infatti oggi una delle principali risposte che le imprese approntano per affrontare i mercati globalizzati, dove la concorrenza con le economie dei Paesi emergenti è sempre più forte. Ma se la delocalizzazione, ovvero lo spostamento da un Paese ad un altro, qualora attuata con la costituzione di nuove società all’estero, non presenta particolari problemi o ostacoli giuridici, se realizzata con un trasferimento diretto della sede sociale, in un Paese diverso da quello d’origine, pone delicati problemi, a causa dei possibili conflitti esistenti tra i diversi ordinamenti dei Paesi coinvolti. La continuità giuridica della società trasferita, il suo riconoscimento nello Stato di destinazione ed in quello d’origine, nonché la normativa applicabile alla società che si trasferisce (cd. lex societatis), sono infatti, tutte questioni che dipendono dagli ordinamenti giuridici vigenti nei Paesi coinvolti dal trasferimento (Stato di partenza e Stato di arrivo), ed in particolare dal tipo di collegamento (e riconoscimento) delle società che gli Stati adottano. In linea di principio, se nello Stato di partenza si adotta, quale criterio di collegamento e riconoscimento delle società, quello dell’incorporazione, per cui le società sono riconosciute e disciplinate sempre in base alla legge dello Stato nel quale si è perfezionato il procedimento di costituzione, allora in questi Paesi il trasferimento all’estero delle società è ammissibile, mentre non lo è se il Paese adotta il criterio della sede effettiva, per il quale le società sono riconosciute esclusivamente in ragione del loro collegamento con il territorio. Diciamo in linea di principio, in quanto la possibilità effettiva del trasferimento deve essere verificata poi, oltre che con gli eventuali temperamenti del criterio che gli Stati adottano nella pratica, anche alla luce del regime adottato nello Stato di arrivo, ed ecco perché si parla di possibili conflitti tra gli ordinamenti. Se nello Stato di arrivo vige il principio dell’incorporazione, il trasferimento potrebbe essere ammesso, mentre se vige il principio della sede effettiva, potrebbe non esserlo. Ma oltre che con riferimento all’accennata normativa interna degli Stati interessati, compresa quella di diritto internazionale privato, la fattibilità del trasferimento della sede, deve poi essere indagata anche alla luce dell’esistenza di eventuali Convenzioni internazionali e, in ambito intracomunitario, dei principi e del diritto dell’Unione europea. Pertanto, qualora si volessero delineare dei principi di diritto generale che regolano la fattispecie del trasferimento delle società in ambito internazionale, cosa che cercheremo di fare nel successivo paragrafo, non potrebbe che trarsi un quadro puramente teorico e, con ogni probabilità, avulso dalle reali situazioni rinvenibili all’interno dei vari Paesi, anche perché, come accennato, sono molti gli Stati che temperano il principio di collegamento adottato, introducendo dei correttivi che rendono il sistema ibrido, contemperando il principio della sede con quello dell’incorporazione, o viceversa. Anche il riscontro con le molte indagini dottrinali che hanno affrontato la problematica, e che si muovono in ambito teorico, finiscono per indicare soluzioni tra loro non univoche e che non trovano corrispondenza poi con la reale situazione vigente nei vari Paesi. Pertanto, stante l’inquadramento generale della problematica che può essere presentato a livello teorico, l’indagine sulla possibilità o meno di effettuare il trasferimento della sede di una società, non può prescindere dall’indagine della reale normativa vigente nei Paesi interessati. Per quanto riguarda l’ambito europeo, invece, se fino a qualche anno fa risulta difficile teorizzare una disciplina unitaria del trasferimento della sede che, in forza dei principi generali sanciti dal Trattato (libertà di stabilimento), superasse le problematiche civilistiche accennate e rendesse quindi inapplicabili quei sistemi nazionali che in qualche modo potessero ostacolare il trasferimento della sede delle società, oggi si dovrebbe poter giungere ad una nuova posizione. Le recenti sentenze della Corte giust. Ce, che hanno ribadito, in differenti contesti, la preminenza del principio della libertà di stabilimento in ambito europeo, ma soprattutto la nuova normativa sulla Società europea(SE), che disciplina esplicitamente il trasferimento della SE all’interno dell’Unione europea in continuità giuridica, nonché la recente adozione della normativa sulle fusioni transfrontaliere, dovrebbero infatti indurre a ritenere che il diritto europeo, nella sua evoluzione sia irreversibilmente orientato a garantire la mobilità delle società. Pertanto, nel contesto europeo, non dovrebbero sussistere ostacoli al riconoscimento della continuità giuridica delle società in sede di trasferimento da un Paese membro ad un altro. Nell’esposizione che segue, per inquadrare la problematica del trasferimento della sede sociale in ambito internazionale, saranno esaminati preliminarmente i principi di diritto internazionale privato e la loro possibile applicazione teorica, seguirà poi un’analisi dello stato attuale del diritto comunitario, per valutare se in tale ambito possono ritenersi superati gli eventuali conflitti tra gli ordinamenti che, di fatto, ostacolano il trasferimento transazionale delle società, individuando una possibile, e forse l’unica plausibile, soluzione « europea », per concludere poi con la situazione del nostro Paese, avendo riguardo alla disciplina di diritto positivo ed alla sua coerente interpretazione con i principi di diritto internazionale e comunitario esaminati.

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