Punto di vista di Daniele Zibetti

Siamo condannati ad un futuro Orwelliano?

Il mio contributo alla rubrica “Punti di vista...” ha come riferimento i modelli di mondo che ci troveremo a vivere e ad affrontare quando questa emergenza sarà finita e sul perché dobbiamo tenere la guardia alta.

Senza entrare nel dettaglio e nello specifico possiamo dire che già la gestione delle cosiddette Fase 1 e Fase 2 ci dice molto. Tralasciamo i paesi in via di sviluppo e concentriamoci sui paesi del G20.

I paesi asiatici, siano essi veri e propri regimi o comunque democrazie a forte direzione centrale dove l’individuo è ingranaggio di un sistema (Korea del Sud, Giappone, Singapore, Cina) hanno avocato senza difficoltà la gestione della pandemia con misure rigide (test, screening, quarantene). Il controllo capillare degli individui è considerato normale ed il concetto di libertà individuale e privacy è stato totalmente assorbito dalla situazione eccezionale.

Con l'esperienza che mi deriva dall’avere, oramai da tanti anni, uno Studio legale con sede principale a Shangai in Cina ( e operando molto spesso anche ad Hong Kong e Singapore) ho potuto cogliere da vicino tutti gli aspetti legali e comportamentali che si sono enfatizzati durante questa emergenza.

In Cina già si stava implementando il sistema sempre più capillare dei “social credits”, ovvero una sorta di “patente a punti” H24 per i cittadini, costantemente monitorati da una videosorveglianza intensissima e da un controllo dei telefonini (in particolare tramite l’imprescindibile applicazione WeChat), che comportava conseguenze tangibili nella vita di tutti i giorni in base ai comportamenti sociali ed alla loro aderenza ai principi “di interesse nazionale”.

Finché questo riguarda commettere un reato o non pagare un debito possiamo anche astrattamente essere d’accordo nel concedere un mutuo ad un cittadino che abbia uno storico di rate pagate piuttosto che ad un cattivo pagatore, ma il tema diventa molto scivoloso quando si passa alle informazioni sensibili sulla salute o alle opinioni. Questa recente deriva “totalitarista” era stata una delle cause scatenanti le proteste ad Hong Kong.

Il rischio è che anche al termine di questa emergenza non vi sarà alcun passo indietro nel percorso di quotidiano monitoraggio “orwelliano” del cittadino/suddito da parte di chi detiene il potere. Efficienza e controllo ma a che prezzo? Attenzione perché nulla avviene di colpo e poi ci si guarda indietro e ci si chiede “ma come siamo finiti qui?” “passo dopo passo, come sempre”.

I paesi occidentali hanno in qualche modo affrontato la pandemia in modo ibrido: chi con minori restrizioni, come le democrazie anglo-americane laiche che sulla inderogabile libertà dell’individuo, anche a prezzo di enormi ingiustizie sociali, hanno fondato la propria esistenza (USA, UK, Canada,) ed hanno si chiuso alcune attività ma senza spingersi a vietare di uscire di casa; chi con misure più rigide (Italia, Spagna, Francia), chi spostando più il tema sul senso di responsabilità del cittadino (Svizzera, Austria, Germania, Paesi Bassi).

Fortunatamente in tutti i paesi democratici la pandemia ha aperto conflitti fra il potere centrale e quello locale (si pensi alle tensioni tra Cuomo e Trump o tra la Merkel e i lander) e posto interrogativi sulle misure di controllo e monitoraggio dei cittadini e su fin dove possa spingersi il “diritto dell’eccezione”.

Con grande lucidità, volendo guardare a casa nostra, l’insigne giurista Natalino Irti ha sintetizzato qualche giorno fa sul Sole 24 Ore questa situazione di fatto in tre temi:
 “primo è nella sospensione (di fatto, se non di diritto) della democrazia parlamentare, poiché la nostra vita, domestica ed economica, privata e sociale, non è più retta da leggi approvate dalle Camere, ma da decreti e ordinanze del potere esecutivo.
Il secondo, e contiguo tema, è che lo “stato d’eccezione”, ancorché non previsto né disciplinato dalla Costituzione, è penetrato d’impeto, con la oscura violenza dell’incognito e dell’inatteso, nella concreta vita delle istituzioni. Basterebbe pensare alle restrizioni di talune libertà e alla molteplicità di “comitati” e “commissarî”, che offrono l’immagine (e forse non soltanto l’immagine) di una poliarchia tecnocratica.
Il terzo e ultimo tema è nel rapporto rissoso tra Stato e Regioni, da cui sembra sorgere l’inevitabile necessità di riforme costituzionali.”


I tempi sono ora maturi per uscire da questo torpore dell’eccezione.

Siamo davvero sicuri che l’alternativa sia solo tra morire liberi o vivere sotto ad una lente di ingrandimento che monitora ogni nostro passo con la scusa della tutela della salute?

Su questo, che ritengo sia il tema decisivo che dovrà affrontare il mondo nei prossimi anni (non a caso la guerra fredda tra Cina e USA ha come elemento principale la tecnologia 5g e la gestione dei dati che sono oggi strumento sia di potere politico/militare che fonte di ricchezza), ho trovato illuminante un intervento di qualche settimana fa sul Financial Times di Yuval Noah Harari, il celebre autore di Homo Sapiens-Homo Deus, che in sostanza di fronte a questo dilemma ci dice che siamo di fronte ad una falsa scelta

“Asking people to choose between privacy and health is, in fact, the very root of the problem. Because this is a false choice. We can and should enjoy both privacy and health. We can choose to protect our health and stop the coronavirus epidemic not by instituting totalitarian surveillance regimes, but rather by empowering citizens.”
“Centralised monitoring and harsh punishments aren’t the only way to make people comply with beneficial guidelines. When people are told the scientific facts, and when people trust public authorities to tell them these facts, citizens can do the right thing even without a Big Brother watching over their shoulders. A self-motivated and well-informed population is usually far more powerful and effective than a policed, ignorant population.”


Purtroppo ci troviamo in un’epoca in cui le fake news e la cosiddetta infodemia inquinano le menti di una popolazione sempre più suggestionabile ed ignorante.

Il rischio è quello di porre ai cittadini la scelta (che è appunto una falsa scelta) tra la propria libertà e la salute, magari indicando anche in un nemico esterno l’origine di tutti i mali. Il piatto perfetto da servire a chi anziché risposte complesse preferisce affidarsi ad eccitazioni populiste e nazionaliste.

Bisogna investire in educazione, formazione, dare valore all’informazione seria per evitare che il mondo si divida in tante aree rissose che vogliono solo trovare un nemico a cui imputare la crisi.

Anche su questo tema Harari coglie il punto
The second important choice we confront is between nationalist isolation and global solidarity. Both the epidemic itself and the resulting economic crisis are global problems. They can be solved effectively only by global co-operation.
First and foremost, in order to defeat the virus we need to share information globally.”


Avranno voglia le grandi potenze USA e Cina di condividere davvero le informazioni per il bene di tutti? La partita, come detto, é forse troppo grossa per auspicarlo, ma dobbiamo pretenderlo e fare sentire la nostra voce civile.

In questa nuova Guerra Fredda che è appena iniziata penso che i paesi “satellite” ma di grande tradizione culturale come il nostro abbiano il dovere di tenere la guardia alta e di restare un baluardo di civiltà, diritti e dibattiti civili, senza farsi travolgere da facili nazionalismi che ci porterebbero alla rovina, ma rafforzando un fronte europeo credibile.

Ritengo che il primo passo sia quindi pretendere serietà e chiarezza da parte di chi ci governa, che non può pensare di protrarre ulteriormente questo stato di eccezione dove da cittadini siamo relegati a sudditi a cui si consente oppure no di esercitare diritti costituzionalmente garantiti a cadenza settimanale!

Presteremo attenzione ai nostri comportamenti, staremo distanziati, useremo dispositivi di protezione individuale perché è interesse nostro e di tutta la comunità farlo, ma dobbiamo tornare a farlo quanto prima nell’ambito delle nostre libertà di spostamento e di scelta.

In gioco c’è molto di più che la ripartenza economica del paese, ma un modello di vita per la cui difesa l’Europa ha finito di combattere 75 anni fa una guerra sanguinosa. Non infanghiamo la memoria di chi ha dato la vita per la nostra libertà con un falso patto al contrario.

Daniele Zibetti
Avvocato, Managing Partner – GWA, SHANGHAI
 
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