Operazioni soggettivamente inesistenti: per provare l’estraneità dalla frode, non possono richiedersi all’imprenditore controlli ulteriori alla normale prassi degli affari

13/10/2021

Operazioni soggettivamente inesistenti: per provare l’estraneità dalla frode, non possono richiedersi all’imprenditore controlli ulteriori alla normale prassi degli affari
A cura di Chiara Chirico

L’ordinanza della Cassazione n. 27745 del 12 ottobre 2021 segna un punto a favore del contribuente in materia di contestazioni di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, con particolare riferimento alla prova dell’elemento soggettivo della conoscenza o conoscibilità della frode.

Tali riprese, oltre alla dimostrazione della interposizione del soggetto cedente, richiedono all’Amministrazione Finanziaria la prova della partecipazione del cessionario alla frode perpetrata dal cedente o della conoscibilità del disegno evasivo con l’uso della normale diligenza richiedibile all’imprenditore.

Da tempo la Corte di Giustizia UE e la Cassazione hanno chiarito che la prova contraria da parte del contribuente scatta solo dopo che l’Ufficio abbia dimostrato la conoscibilità in astratto della frode, anche mediante presunzioni purché fondate su elementi gravi precisi e concordanti e non su meri indizi.  

Ciononostante, le Commissioni tributarie hanno spesso invertito i fattori facendosi persuadere del coinvolgimento del contribuente dalla mera allegazione di circostanze indiziarie inerenti la posizione del cedente che avrebbero dovuto dissuadere un imprenditore accorto dal dare corso a rapporti commerciali, facendo ricadere su di questi la prova di aver esperito indagini che vanno ben oltre la normale prassi degli affari.

In questa occasione, la Suprema Corte fissa criteri di maggior rigore quanto al contenuto della prova a sostegno della connivenza dei contraenti che non può ridursi all’allegazione di circostanze indiziarie, per superare le quali il contribuente sarebbe obbligato ad effettuare indagini sul proprio contrente che difficilmente verrebbero poste in essere anche dall’imprenditore accorto; l’effetto delineato dalla Corte sarebbe che “gli imprenditori sarebbero eccessivamente timorosi e potrebbero essere indotti a non rischiare, decidendo di non concludere molti affari, con grave nocumento per i traffici commerciali e quindi per l’economia in generale”.  

L’ordinanza è di interesse poiché si presenta come monito rispetto ad un modus procedendi che rischia di allontanarsi dall’obiettivo di contrastare l’evasione, per finire con l’intralciare gli affari, specie in questo delicato momento storico.

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