Autonomia gestionale dell'impresa in concordato totalmente in bianco “cancellata” qualora non sia indicato il contenuto minimo della proposta

30/03/2021

Autonomia gestionale dell'impresa in concordato totalmente in bianco “cancellata” qualora non sia indicato il contenuto minimo della proposta
A cura di Alessandro Dalla Sega

Il Tribunale di Roma, con Sentenza del 2 febbraio 2021, ha negato l’efficacia di alcuni pagamenti a fornitori effettuati da una società in concordato – successivamente fallita – nel periodo intercorrente tra l’ammissione alla procedura in bianco (articolo 161, co. 6 LF) e l’omologazione. La concessione di un termine è funzionale a dare al debitore il tempo necessario per la predisposizione del piano, ma ciò non lo dispensa dal fornire indicazioni di base sulla strada che intende perseguire (ad esempio, piano in continuità diretta o indiretta o, invece, liquidatorio).

La questione investe un problema nella prassi molto diffuso: l’identificazione degli atti che richiedono l’autorizzazione del tribunale lungo tutta la durata del concordato. In base all’articolo 167 LF è necessaria, in via generale, per gli atti di straordinaria amministrazione, ma la difficoltà sta proprio nell’individuazione del discrimine normativo tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, rispetto al quale si confrontano orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Il Tribunale di Roma, richiamando la sent. n. 14713/2019 della Suprema Corte, la quale ha affermato che per “valutare la natura di ordinaria o straordinaria di un atto compiuto dall’imprenditore è necessario che siano state fornite informazioni sul tipo di proposta o sul contenuto del piano che il debitore intende presentare, sicché in difetto di tali elementi, l’atto che si riveli idoneo a incidere negativamente sul patrimonio dell’impresa, deve essere considerato come di straordinaria amministrazione”, ha ribadito che, in assenza del piano, ogni atto è considerato di straordinaria amministrazione, poiché potenzialmente idoneo ad incidere negativamente sul patrimonio aziendale e a incrementare i debiti prededucibili, in danno dei creditori. La qualificazione è quindi legata alla presenza di un preliminare abbozzo di piano, utile a contestualizzare il singolo impegno nella cornice generale di risanamento.

La ratio di tale impostazione, oltre a contrastare il cd. fenomeno dell’abuso dello strumento concordatario, è legata alla delicatezza del periodo interinale, che va dall’ammissione al concordato con riserva fino al deposito del piano e della proposta: un periodo nel quale ogni atto gestorio deve essere coerente con la strategia di risanamento che si intende perseguire, da esplicitarsi con una minima disclosure preventiva.

Tuttavia, come sopra già accennato, sul punto vi sono a monte due differenti scuole di pensiero, riconducibili ad altrettante correnti giurisprudenziali: la prima ritiene che l’atto di ordinaria amministrazione mira alla conservazione o al miglioramento del patrimonio, mentre lo straordinario è quello che incide sulla situazione patrimoniale del debitore (Cassazione, sentenze 14713/2019 e 20291/2005).
La seconda riconduce la natura di un atto nell’alveo della sua ricorrenza rispetto alla gestione dell’impresa ed al suo oggetto sociale: considerando che quest’ultima è per definizione un’entità in divenire, caratterizzata dal compimento quotidiano di atti gestori, se gli stessi sono coerenti con le dimensioni del patrimonio e sono migliorative o conservative, pur caratterizzate da importi di spesa elevati, non sono da considerarsi straordinari e quindi sono esercitabili liberamente dall’imprenditore. Al contrario, gli interventi che modifichino la struttura economico-organizzativa sono da considerarsi straordinari (Cassazione, sentenze 25952/2011, 10229/1997 e 4856/1995). In questa seconda lettura, non è l’entità in sé dell’impegno assunto a fare la differenza, ma la sua riconducibilità o meno alla gestione caratteristica dell’impresa.

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