Diniego al rilascio della patente di guida e provvedimenti riabilitativi

17/04/2024

Diniego al rilascio della patente di guida e provvedimenti riabilitativi
A cura di Simone Spiazzi
Un possibile motivo di diniego al rilascio della patente di guida è l’essere stati condannati per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al d.P.R. n. 309/1990 (c.d. “Testo unico stupefacenti”), che puniscono la produzione, il traffico, la detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope e l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Il divieto è stabilito dall’art. 120, comma 1, del Codice della strada, il quale, tuttavia, fa “salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi”. Ma a che cosa si riferisce la norma quando parla di “provvedimenti riabilitativi”? La risposta è tutt’altro che scontata.

La clausola di salvezza sembra fare riferimento, in particolare, all'istituto della riabilitazione di cui agli artt. 178 e 179 del codice penale. L’art. 178 del codice penale prevede che “la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna”.

Invero, il termine “provvedimenti riabilitativi”, utilizzato genericamente e al plurale, a parere di chi scrive non si riferisce soltanto all’istituto della riabilitazione di cui all’art. 178 del codice penale, ma bensì ad un più ampio ventaglio di fattispecie: altrimenti, il legislatore avrebbe richiamato specificamente solo tale istituto.

In particolare, si intende fare riferimento a tutta una serie di fattispecie a cui la legge ricollega l’estinzione di ogni effetto penale della condanna.

La prima fattispecie coinvolge l’istituto processual-penalistico dell’applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento). Ai sensi dell’art. 445, comma 2, del codice di procedura penale, in caso di patteggiamento “Il reato è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l’applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena”. In tal caso, l’effetto estintivo consegue al passare di un determinato lasso di tempo unito alla condotta successiva del reo.

Al riguardo, la giurisprudenza penale ha chiarito che “l’estinzione del reato oggetto della sentenza di patteggiamento in conseguenza del verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445 c.p.p., comma 2, opera ipso iure, senza che sia necessaria una specifica pronuncia del giudice dell’esecuzione” (da ultima, Cass. pen., Sez. III, Sent., 16/07/2018, n. 32492).

Ancora, è stato rilevato come “l’eliminazione di ogni effetto penale della condanna, che consegue alla riabilitazione, insomma, è perfettamente equivalente a quell’estinzione di ogni effetto penale che consegue all’avvenuta estinzione del reato nel termine di legge in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti.” (Cass. pen., Sez. I, Sent., 10/05/2006, n. 16025).

Dunque, in caso di patteggiamento, l’estinzione del reato, che opera ipso iure, estingue ogni effetto penale, cosicché gli effetti riabilitativi si verificano in automatico al verificarsi delle condizioni richieste dalla norma.

Altre fattispecie si rinvengono, invece, nella legislazione speciale.

L’art. 70 del d.lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice antimafia), rubricato “Riabilitazione”, prevede che, a determinate condizioni, dopo tre anni dalla cessazione della misura di prevenzione personale, l'interessato possa chiedere la riabilitazione. Il comma 3 rimanda alle disposizioni del codice di procedura penale riguardanti la riabilitazione, in quanto compatibili.

Da ultimo, va menzionato l’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale di cui all’art. 47 della Legge n. 354/1975 (c.d. Legge sull'ordinamento penitenziario), inserita tra le misure alternative alla detenzione. Difatti, ai sensi del comma 12, “L’esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale, ad eccezione delle pene accessorie perpetue”.

La tesi della parificazione dell’effetto della riabilitazione ex art. 70 del Codice antimafia e dell’esito positivo dell’affidamento in prova con quello della riabilitazione ex artt 178 e 179 del codice penale, ai fini del loro inquadramento tra i “provvedimenti riabilitativi” richiamati dall’art. 120, comma 1, del Codice della strada, è stata avvallata dalla giurisprudenza di legittimità. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha statuito che “in tema di diniego del rilascio della partente di guida alle persone condannate per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, la clausola di salvezza riferita agli effetti di provvedimenti riabilitativi, prevista dall'art. 120, comma 1, c.d.s., ricomprende non soltanto l’istituto della riabilitazione di cui all'art. 178 c.p., ma anche altri provvedimenti, tra cui quello della riabilitazione prevista dall’art. 70 del d.lgs. n. 159 del 2011 e quello dell’esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale, ai sensi del disposto di cui all’art. 47, comma 12, l. n. 354 del 1975 e succ. mod.” (Cass. civ., Sez. II, Ord., 01/08/2022, n. 23815).

In particolare, la sentenza richiamata, per quanto riguarda l’esito positivo dell’affidamento in prova, facendo propri i più recenti orientamenti della giurisprudenza penale, ha evidenziato come gli “effetti penali” menzionati dalla norma sono coincidenti con gli “effetti penali della condanna” di cui all’art. 178 del codice penale.

Successiva giurisprudenza di merito ha recepito l’indirizzo della Corte di Cassazione.

Si fa riferimento a Tribunale di Milano, sez. I, 10/10/2023, n. 7874, secondo cui “l’esito positivo dell’affidamento in prova va equiparato ai provvedimenti riabilitativi di cui all’art. 178 c.p. e costituisce, quindi, fatto idoneo a restituire al condannato il diritto a richiedere la patente di guida”.
 
Da ultima, si segnala la recentissima ordinanza n. 876/2024 del Tribunale di Verona, resa su un ricorso ex art. 702-bis del codice di procedura civile (vecchio rito sommario di cognizione), la quale ha ricollegato all’estinzione degli effetti penali per esito positivo dell’affidamento in prova e all’estinzione degli effetti penali che segue alla sentenza di patteggiamento la medesima efficacia dei “provvedimenti riabilitativi” di cui all’art. 120, comma 1, del Codice della Strada.

In definitiva, si può ragionevolmente sostenere che, oltre l’istituto della riabilitazione di cui agli artt. 178 e 179, codice penale, anche l’estinzione degli effetti penali che consegue alla sentenza di patteggiamento, alla riabilitazione da codice antimafia e all’esito positivo dell’affidamento in prova, dispiega l’efficacia riabilitativa richiesta dall’art. 120, comma 1, del codice della strada, e permette così di superare il motivo di diniego al rilascio della patente di guida consistente nell’essere stati condannati per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al d.P.R. n. 309/1990 (c.d. “Testo unico stupefacenti”), che puniscono la produzione, il traffico, la detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope e l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Sul versante delle tutele, il soggetto a cui, sulla scorta delle considerazioni appena svolte, venisse illegittimamente notificato un provvedimento di diniego al rilascio del titolo abilitativo alla guida da parte dell’Ufficio motorizzazione civile competente, dovrà instaurare un giudizio di accertamento del proprio diritto a conseguire la patente di guida innanzi il Giudice Ordinario, chiedendo altresì la disapplicazione del provvedimento amministrativo. La richiesta di annullamento del provvedimento innanzi il Giudice Amministrativo, infatti, esporrebbe il ricorrente a un’inevitabile dichiarazione di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione. La giurisprudenza è ormai consolidata sull’affidare tale competenza al Giudice Ordinario, poiché “le questioni relative al possesso dei requisiti soggettivi previsti dall’art. 120 C.d.S., comma 1, che contempla il diniego in via automatica del rilascio titolo medesimo a coloro che si trovano in determinate condizioni soggettive, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, in difetto di deroghe ai comuni canoni sul riparto della giurisdizione, proprio perché si ricollegano ad una posizione di diritto soggettivo, il diritto di guidare un autoveicolo, afferente ad una modalità di "esercizio di una libertà fondamentale, quale la circolazione", costituzionalmente tutelata (art. 16 Cost.)” (Cass. civ., Sez. Unite, Ord. 14/03/2022, n. 8188).


 

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