Le novità in materia di imposta sulle successioni e donazioni

15/12/2025

Le novità in materia di imposta sulle successioni e donazioni

Fisco, Crisi d'Impresa, ESG - Cap. 7 da pag. 127 a pag. 135 - di Matteo Tambalo

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All’interno della sezione dedicata al Fisco, il contributo di Matteo Tambalo analizza la recente riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni introdotta dal D.Lgs. 139/2024. L’Autore ricostruisce le principali novità del nuovo impianto normativo, evidenziando il tentativo del Legislatore di razionalizzare la disciplina e ridurre le incertezze interpretative che hanno caratterizzato il sistema negli ultimi anni.
Pur riconoscendo i progressi compiuti vi è la persistenza di zone grigie, in particolare per quanto riguarda la disciplina dei trust e il trattamento delle società prive di impresa, ambiti nei quali si auspica un ulteriore intervento chiarificatore.

Premessa

Con la pubblicazione del D.Lgs. 139/2024, entrato in vigore il 1° gennaio 2025, il Legislatore ha inteso procedere a una complessiva opera di razionalizzazione e sistematizzazione della disciplina delle imposte indirette diverse dall’imposta sul valore aggiunto, intervenendo, tra gli altri ambiti oggetto di revisione, anche sulla regolamentazione dell’imposta sulle successioni e donazioni.
Con specifico riferimento a tale ambito impositivo, l’attuazione della delega fiscale ha comportato un significativo riassetto normativo, dettato dall’esigenza di colmare talune lacune sistematiche e di superare incertezze interpretative che avevano generato, nel tempo, un ampio e talvolta disomogeneo dibattito dottrinale. In particolare, il nuovo intervento legislativo ha recepito principi consolidati in giurisprudenza
e nella prassi applicativa dell’Amministrazione finanziaria, che fino ad allora avevano trovato applicazione solo in via interpretativa in assenza di un’esplicita previsione normativa.
Tale operazione normativa si è dunque posta in linea con un’esigenza di coerenza sistematica e di certezza del diritto, contribuendo a sanare numerose perplessità che avevano caratterizzato la disciplina previgente, spesso determinando pratiche difformi e incertezza nei rapporti tra contribuente e Amministrazione. Contestualmente, il decreto legislativo ha introdotto contenuti innovativi rispetto al testo previgente, pur senza incidere in maniera irruenta sull’assetto strutturale della disciplina, che è stato oggetto di una revisione, in chiave migliorativa, più che di una rivoluzione.
Tra i temi principali e di maggiore rilevanza oggetto della riforma, che saranno esaminati con maggiore dettaglio nei successivi paragrafi, si annoverano innanzitutto la parziale riscrittura dell’articolo 3, co. 4-ter, del D.Lgs. 346/1990, la previsione normativa dell’istituto dell’autoliquidazione dell’imposta di successione, nonché l’esplicita inclusione dei trust nell’ambito soggettivo degli atti soggetti a imposizione fiscale in materia di donazioni e successioni. Accanto a tali innovazioni di rilievo, è stata introdotta altresì una serie di disposizioni integrative e modificative di portata più contenuta.

1. La modifica dell’articolo 3, co. 4-ter, del D.Lgs. 346/1990

Uno degli interventi più significativi introdotti dalla recente riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni è rappresentato dalla riformulazione dell’articolo 3, co. 4-ter, del D.Lgs. 346/1990, disposizione dedicata al regime di esenzione in caso di trasferimenti a titolo gratuito di aziende, rami d’azienda o partecipazioni societarie.
La norma è stata oggetto di una parziale riscrittura, non solo per definire meglio i presupposti applicativi dell’agevolazione e per delimitare in modo più dettagliato il relativo perimetro operativo, ma anche per introdurre talune innovazioni rispetto al testo previgente. Tali modifiche rispondono all’esigenza di superare le principali ambiguità interpretative che, nel corso degli anni, avevano acceso dibattiti in dottrina, anche a fronte delle pronunce di prassi e giurisprudenziali susseguitesi in materia.
Nella sua attuale formulazione, la norma conferma l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni per i trasferimenti, anche realizzati mediante patti di famiglia, aventi a oggetto aziende, rami di esse, o partecipazioni societarie, effettuati a favore dei discendenti o del coniuge del disponente, a condizione che siano rispettati determinati requisiti di prosecuzione dell’attività o di mantenimento della partecipazione. In dettaglio:
  • nel caso di trasferimento di aziende o rami aziendali, l’esenzione si applica qualora gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento;
  • nel caso di trasferimento di partecipazioni in società di capitali, gli aventi causa devono acquisire il controllo della società o integrare una situazione di controllo già esistente e mantenere tale status di controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento;
  • nel caso di altre partecipazioni societarie, è richiesto che gli aventi causa detengano la titolarità del diritto per almeno cinque anni dalla data del trasferimento.

1.1 Integrazione del controllo già esistente

Già dalla prima lettura delle condizioni per l’accesso all’agevolazione risalta uno degli elementi di novità introdotti dalla riforma, rappresentato dal riconoscimento della possibilità di accedere al regime di esenzione anche in presenza di un rafforzamento di una posizione di controllo già detenuta dal beneficiario. Sotto il vigore della normativa precedente, infatti, l’esenzione si applicava esclusivamente nei casi in cui fosse trasferita una partecipazione già di controllo oppure qualora la partecipazione ricevuta, cumulata con una quota minoritaria già posseduta, determinasse l’acquisizione ex novo del controllo.
Erano invece esclusi – come precisato dall’Agenzia delle entrate nelle risposte a interpello n. 72/2024 e n. 497/2021 – dall’ambito di applicazione dell’agevolazione i casi di incremento di una partecipazione già di controllo, in quanto non rientranti formalmente nelle due ipotesi sopra descritte. La nuova formulazione dell’articolo 3, co. 4-ter ha invece colmato tale lacuna, includendo espressamente tra le fattispecie agevolabili anche quella in cui il beneficiario, già ante operazione titolare del controllo, riceva ulteriori partecipazioni idonee a rafforzarne la posizione.
Questa modifica normativa, da un lato, amplia l’ambito applicativo dell’esenzione e consente di adeguare il dato normativo a orientamenti dottrinali emersi ma dall’altro, tuttavia, non è esente da possibili criticità interpretative.
In particolare, il dibattito si focalizza sulla formulazione adottata dal legislatore con riferimento al concetto di “controllo già esistente”, che non contiene un esplicito rinvio all’articolo 2359, co. 1, del Codice Civile, come già avveniva, e permane nel nuovo testo normativo, per le ipotesi di acquisto del controllo. L’assenza di un richiamo espresso alla nozione di controllo “di diritto” ha sollevato il dubbio interpretativo secondo cui il nuovo dettato normativo potrebbe estendere il beneficio anche ai casi di “controllo di fatto”, ovvero a situazioni in cui il beneficiario non detiene formalmente la maggioranza dei diritti di voto, ma esercita comunque un’influenza dominante in assemblea in forza della propria quota partecipativa o di particolari vincoli contrattuali.
Alla luce delle criticità emerse, l’interpretazione più prudente e condivisa anche da chi scrive rimane comunque orientata a confermare una lettura restrittiva, secondo cui il “controllo” rilevante ai fini dell’esenzione, anche in questa terza e nuova casistica resterebbe quello “di diritto”, inteso ai sensi del n. 1 dell’articolo 2359, co. 1, del Codice Civile. Ne conseguirebbe che il rafforzamento di una posizione di controllo “di fatto”, consolidata a seguito del trasferimento, non rientrerebbe tra le fattispecie agevolabili, restando escluso dall’ambito applicativo della norma.

1.2 Fattispecie delle società c.d. “senza impresa

Nel contesto della riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni, uno dei temi più dibattuti, e sul quale si nutrivano diffuse aspettative di intervento chiarificatore da parte del Legislatore, riguarda la possibilità o meno di estensione del regime di cui all’articolo 3, co. 4-ter, del D.Lgs. 346/1990 anche ai trasferimenti di partecipazioni in società prive di effettivo esercizio di attività d’impresa, come nel caso delle holding pure, delle società di gestione immobiliare o delle società semplici.
Sotto la disciplina previgente, sia la Cassazione sia l’Amministrazione finanziaria, infatti, avevano a più riprese ribadito l’esclusione di tali trasferimenti dalla disciplina in oggetto, sostenendo l’impossibilità di riconoscere l’esenzione in assenza del requisito del concreto esercizio di un’attività d’impresa da parte della società le cui partecipazioni erano oggetto di trasferimento.
Tale posizione è stata espressa in maniera esplicita, tra gli altri, nelle risposte a interpello n. 552 del 2021 e n. 185 del 2023, nonché avallata dalla giurisprudenza nella sentenza della Corte di Cassazione n. 6082 del 28 febbraio 2023. In tali pronunce, l’orientamento restrittivo si fondava su un’interpretazione letterale della ratio dell’agevolazione – delineata da varie raccomandazioni della Commissione Europea (94/1069/CE del 1994 e 98/C 93/02 del 1998) nonché nella sentenza della Corte Costituzionale 23.6.2020 n. 120 – la quale sarebbe finalizzata a favorire il passaggio generazionale dell’impresa di famiglia, evitando che la trasmissione agli eredi dell’azienda possa portare al venir meno della continuità aziendale e alla disgregazione del relativo patrimonio. In tale prospettiva, secondo i predetti orientamenti, non si ravviserebbe dunque alcuna giustificazione all’estensione dell’agevolazione a trasferimenti di partecipazioni in soggetti giuridici che non esercitano attività d’impresa, non potendo, in tali casi, configurarsi alcun rischio concreto di “distruzione” dell’impresa familiare.
Secondo tale impostazione sarebbero risultati quindi esclusi dal beneficio fiscale i trasferimenti di partecipazioni in holding pure, società aventi per oggetto esclusivo la detenzione di partecipazioni in altre imprese, in quanto assenti del requisito dell’esercizio diretto di un’attività industriale o commerciale. Per contro, potevano rientrare nel perimetro dell’agevolazione le holding miste, in quanto svolgenti, accanto all’attività di assunzione di partecipazioni, anche attività operative volte alla produzione o scambio di beni e servizi. In modo analogo, sarebbero risultati non agevolabili i trasferimenti di partecipazioni in società di gestione immobiliare, la cui attività si configura come mero godimento di elementi patrimoniali, priva dei caratteri distintivi dell’impresa commerciale. Analoga sorte toccava, infine, alle società semplici, frequentemente impiegate nella prassi per la strutturazione di holding familiari o “casseforti” patrimoniali, in quanto, per definizione, escluse dall’esercizio di impresa commerciale ai sensi dell’art. 2249 del Codice Civile.
Alla luce di tale consolidato orientamento, da molti criticato in quanto sensibilmente restrittivo, in dottrina si auspicava che la riforma normativa in materia di imposta sulle successioni e donazioni potesse offrire una chiarificazione definitiva in merito all’effettiva necessità del requisito dell’attività d’impresa ai fini dell’applicazione dell’esenzione prevista dall’art. 3, co. 4-ter, del D.Lgs. 346/1990.
Nella nuova formulazione dell’articolo, il legislatore ha scelto di non inserire alcun riferimento espresso all’esercizio di attività d’impresa per i trasferimenti aventi a oggetto partecipazioni societarie, limitandosi a richiamare, quale unico requisito,la sussistenza di una situazione di controllo da parte del beneficiario. L’unica ipotesi in cui il requisito dell’attività d’impresa è esplicitamente richiesto resta quella relativa al trasferimento di azienda o ramo d’azienda, dove l’esenzione è condizionata alla prosecuzione dell’attività da parte degli aventi causa per un periodo non inferiore a cinque anni.
Secondo un primo orientamento, dalla lettura della normativa attualmente vigente, caratterizzata per una formulazione più didascalica e descrittiva delle singole fattispecie agevolabili, non sembrerebbero più sussistere margini per l’introduzione di implicite condizioni ulteriori, non espressamente previste dal dettato. Tale orientamento, sostenuto da una parte della dottrina, si fonda infatti sul principio, sancito dalla Corte Costituzionale, secondo cui le norme fiscali di natura agevolativa sono di interpretazione anaelastica, ossia rigorosamente legate al dato letterale. Alla luce di tale impostazione, vi sarebbe dunque spazio per ammettere all’agevolazione anche i trasferimenti di partecipazioni in società che non esercitano attività d’impresa, comprese holding pure, società di gestione patrimoniale o immobiliare e società semplici.
Nonostante quanto detto, un’interpretazione più rigida della dottrina mantiene una posizione più cauta, evidenziando come il silenzio del legislatore sul punto non costituisca necessariamente una volontà esplicita di abrogare le precedenti interpretazioni.
Secondo questa impostazione, l’assenza di un riferimento espresso all’attività d’impresa non sarebbe sufficiente, da sola, per giustificare l’automatica estensione dell’esenzione a tutte le partecipazioni societarie, a prescindere dalla natura dell’attività esercitata.
In definitiva, il mancato chiarimento normativo espresso ha lasciato parzialmente irrisolto un nodo interpretativo che continuerà, con ogni probabilità, ad alimentare dibattiti applicativi, rendendo quindi auspicabile un intervento ulteriore volto a colmare una lacuna che la riforma non ha inteso o voluto affrontare in maniera esplicita.

1.3 Trasferimenti di quote o azioni di società estere

Tra le novità di maggiore rilievo introdotte dalla recente riforma in materia di imposta sulle successioni e donazioni, merita una specifica considerazione l’intervento che ha interessato il regime applicabile ai trasferimenti di quote o azioni di società estere, ambito in precedenza fonte di significative incertezze interpretative dottrinali e giurisprudenziali.
Nel testo normativo previgente, infatti, la disciplina agevolativa faceva espresso riferimento all’articolo 73, co. 1, lettera a), del Tuir, il quale contempla esclusivamente le società di capitali residenti nel territorio dello Stato. Tale formulazione, in assenza di un’esplicita previsione normativa, ha dato luogo, nel tempo, a numerosi dubbi riguardo l’applicabilità dell’esenzione ai trasferimenti di partecipazioni in società non residenti.
In assenza di un quadro normativo chiaro, l’Amministrazione finanziaria ha adottato un orientamento interpretativo estensivo, volto a non discriminare le partecipazioni in società estere rispetto a quelle detenute in società italiane. In particolare, con la risposta della Direzione Regionale Lombardia del 2 agosto 2011, n. 904-86017, e successivamente, con la risposta a interpello n. 185 del 2023, l’Amministrazione ha ritenuto che l’esenzione potesse trovare applicazione anche ai trasferimenti di partecipazioni in società estere, siano esse di persone o di capitali, a condizione che ricorrano i medesimi requisiti richiesti per le società residenti. L’obiettivo dell’Amministrazione è quindi stato quello di evitare che la mera residenza estera della società partecipata potesse precludere l’accesso all’agevolazione, in assenza di ulteriori differenze sostanziali nella struttura e nella natura economica del trasferimento.
Anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5674 del 24 febbraio 2023, ha ammesso la possibilità di estendere l’agevolazione alle partecipazioni in società non residenti, sebbene unicamente con riferimento alle società con sede in Stati membri, in linea con il principio di libertà di stabilimento delle iniziative economiche nel territorio dell’Unione.
A fronte del dibattito e della conseguente incertezza sull’applicabilità dell’esenzione alle società estere, la formulazione vigente dell’art. 3, co. 4-ter, del D.Lgs. 346/1990, estende esplicitamente l’agevolazione fiscale ai trasferimenti di azioni o quote di società residenti in Stati membri dell’Unione Europea, società localizzate in Paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo e società residenti in Paesi terzi che garantiscano un adeguato scambio di informazioni con l’Italia, alle medesime condizioni previste per i trasferimenti di quote sociali e azioni di soggetti residenti.
Permane invece l’esclusione per i trasferimenti di partecipazioni in società con sede in Stati extra-UE.
Nonostante la nuova previsione normativa, permangono alcune criticità applicative, potenzialmente idonee a generare ulteriori incertezze interpretative. Tra le più rilevanti, già oggetto di dibattito, si segnala il criterio di individuazione dei Paesi terzi che garantiscono un adeguato scambio di informazioni. In assenza di un richiamo espresso, si ritiene diffusamente che il riferimento possa essere individuato nella cosiddetta “white list” di cui all’art. 1 del decreto ministeriale 4 settembre 1996, recante l’elenco degli Stati e territori che assicurano un efficace scambio informativo sulla base di convenzioni contro la doppia imposizione o accordi bilaterali stipulati con lo Stato italiano. Quanto alla definizione del requisito del controllo “di diritto”, si discute se debba farsi riferimento alla nozione prevista dalla normativa italiana ovvero quella vigente nell’ordinamento dello Stato estero in cui ha sede la società oggetto di trasferimento. L’orientamento prevalente propende per l’applicazione della prima ipotesi, al fine di garantire coerenza sistematica e uniformità nell’applicazione dell’agevolazione, a prescindere dalla giurisdizione estera coinvolta.

2. Modalità di presentazione e liquidazione dell’imposta di successione

Con la revisione della disciplina in materia di imposta sulle successioni e donazioni, il legislatore ha altresì provveduto ad allineare il dettato normativo alle prassi applicative consolidate negli ultimi anni dall’Amministrazione finanziaria in tema di dichiarazione di successione.
Per effetto delle modifiche apportate ai commi 1 e 3 dell’articolo 28 del D.Lgs. 346/1990, è stato introdotto l’obbligo, a pena di nullità, di redigere la dichiarazione di successione utilizzando esclusivamente il modello approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate e di presentarla con modalità telematica. Unica eccezione è prevista in favore dei soggetti non residenti, i quali potranno effettuare l’invio mediante raccomandata o altro mezzo equivalente.
In un’ottica di semplificazione degli adempimenti, il legislatore è altresì intervenuto sull’articolo 29 del medesimo decreto, prevedendo una riduzione della documentazione da allegare alla dichiarazione di successione.
La principale novità su questo fronte è però relativa alle modalità di liquidazione dell’imposta. La nuova formulazione dei commi 1, 2 e 3 dell’articolo 33 stabilisce infatti che i soggetti obbligati procedano autonomamente all’autoliquidazione dell’imposta di successione sulla base dei dati indicati nella dichiarazione.
Nonostante le modifiche apportate alle modalità di liquidazione, permane impregiudicato il potere dell’Amministrazione finanziaria di esercitare il controllo in ordine alla regolarità formale dell’autoliquidazione. Ai sensi dell’articolo 33, co. 2, come modificato dal decreto delegato, si evince infatti che l’attività di verifica viene ora effettuata mediante procedure automatizzate, aventi a oggetto la regolarità della determinazione dell’imposta, la correttezza dei relativi versamenti nonché la coerenza dei dati0 dichiarati con quelli risultanti dalla dichiarazione di successione presentata.
Ai sensi degli articoli 37 e 38, anch’essi parzialmente riformulati, il pagamento dell’imposta dovrà avvenire entro 90 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione di successione, con possibilità, inoltre, di rateazione dell’importo dovuto a condizione che lo stesso sia pari o superiore a euro 1.000.
In base a quanto espressamente previsto dall’articolo 27, co. 2, inoltre, i soggetti obbligati sono tenuti a procedere a una nuova autoliquidazione del tributo qualora venga presentata una dichiarazione di successione sostitutiva o integrativa, ai sensi dell’articolo 28, co. 6.
Tale obbligo si configura, rispettivamente, nei casi in cui la dichiarazione sia volta a denunciare eventi sopravvenuti che incidono sulla devoluzione dell’eredità o del legato (dichiarazione sostitutiva), ovvero comportino l’applicazione dell’imposta in misura superiore (dichiarazione integrativa).
Resta fermo, in ogni caso, il termine di dodici mesi per la presentazione della dichiarazione sostitutiva o integrativa, decorrente dal momento in cui l’obbligato dimostri di aver acquisito conoscenza dell’evento sopraggiunto.

3. Imposta di successione e donazione in materia di trust

Tra le modifiche più significative introdotte dalla riforma si annoverano anche le novità in materia di trust, istituto in relazione al quale, a seguito delle numerose criticità emerse negli anni in merito all’applicazione della disciplina tributaria, il Legislatore ha provveduto a definire una regolamentazione propria anche nell’ambito delle imposte indirette.
Mediante l’integrazione dell’art. 1, co. 1, del D.Lgs. 346/1990, nel nuovo dettato normativo è stato infatti espressamente incluso il trust tra gli atti di disposizione suscettibili di generare applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni. In conseguenza di tale inclusione, anche gli articoli 2 e 4-bis del medesimo decreto sono stati oggetto di intervento normativo, con l’introduzione di una disciplina specifica
dedicata al trust.
Con riguardo al profilo della territorialità dell’imposta, l’articolo 2 è stato integrato con il co. 2-bis, il quale dispone che, in relazione ai trust, l’imposta sia dovuta in funzione dei beni e diritti trasferiti ai beneficiari, distinguendo il regime impositivo sulla base della residenza del disponente. Qualora il disponente risulti fiscalmente residente in Italia al momento della separazione patrimoniale, l’imposta sarà dovuta con riferimento a tutti i beni trasferiti, a prescindere dalla loro localizzazione. Diversamente, nel caso in cui il disponente sia non residente, l’imposta sarà dovuta esclusivamente per i beni e diritti situati nel territorio dello Stato.
Tale formulazione introduce, oltre a un profilo spaziale, anche un preciso riferimento temporale, individuato nel momento della separazione patrimoniale.
In relazione al momento impositivo, la riforma ha inteso porre fine all’incertezza che, negli anni, ha visto prima prevalere il criterio della tassazione in entrata all’atto della dotazione del trust, a cui seguirono molteplici contrarie pronunce giurisprudenziali che invece sancivano il principio della tassazione in uscita, che venne “recepito” con la Circ. 34/E del 2022.
Il nuovo art. 4-bis del D.Lgs. 346/1990 stabilisce, infatti, che l’imposta debba essere autoliquidata al momento in cui si realizza il trasferimento di beni e diritti in favore dei beneficiari, c.d. tassazione in uscita, applicando aliquote e franchigie esistenti in tale momento in base al grado di parentela tra i beneficiari e il disponente. Tuttavia, è prevista la possibilità, mediante esercizio di opzione da parte del disponente o, nel caso di trust testamentario, da parte del trustee, di anticipare la tassazione già al momento della dotazione (c.d. opzione per la tassazione in entrata).
Ai sensi del co. 4 dello stesso articolo, la suddetta disciplina trova applicazione anche ai trust già istituiti alla data di entrata in vigore della riforma.
Si segnala che, a seguito della riforma, recente dibattito è sorto inoltre in merito all’assoggettabilità o meno all’imposta sulle successioni e donazioni delle operazioni di resettlement del trust poste in essere dal trustee. Il trasferimento di beni da un trust “originario” a uno o più trust “successivi” costituisce, infatti, una strategia sempre più diffusa nell’ambito della pianificazione patrimoniale familiare. Sul punto, l’Agenzia delle entrate, con l’interpello n. 170/2025, ha chiarito la propria posizione, qualificando tale operazione come un atto rilevante ai fini dell’imposta sulle donazioni. Tale interpretazione ha però suscitato numerose perplessità in dottrina, atteso che il resettlement, in quanto mero trasferimento di beni da un trust a un altro, non risulterebbe idoneo a determinare, da sé, un arricchimento in capo ai beneficiari.

4. Donazioni e liberalità indirette

In materia di liberalità indirette, la recente riforma ha provveduto alla riscritturadell’articolo 56-bis del D.Lgs. 346/1990, recependo esplicitamente nel testo normativo l’orientamento già precedentemente espresso dall’Amministrazione finanziaria nella Circ. 30/E del 2015 e dalla giurisprudenza con la sentenza della Corte di Cassazione n. 28047/2020. La disciplina sostanziale in tema di liberalità indirette, tuttavia, è rimasta pressoché invariata, come confermato anche dalla Relazione illustrativa al decreto legislativo.
A seguito della modifica, il nuovo articolo 56-bis stabilisce che l’imposta sulle donazioni «non si applica nei casi di donazione o liberalità di cui agli articoli 742, 770, secondo co., e 783 del Codice Civile». Rispetto alla previgente formulazione, che si limitava a escludere dall’imposizione le liberalità non soggette a collazione e le donazioni di modico valore, è stato ora introdotto un esplicito riferimento anche alle liberalità d’uso, di cui all’articolo 770, secondo co., c.c.
Resta invece immutato l’articolo 1, co. 4-bis, del medesimo decreto, il quale continua a prevedere l’esenzione dall’imposta di donazione per le liberalità, dirette e indirette, che risultino funzionalmente collegate ad atti di trasferimento di diritti immobiliari ovvero di aziende, a condizione che tali atti siano soggetti a imposta di registro proporzionale o a imposta sul valore aggiunto.

5. Conclusioni

La riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni, introdotta con il D.Lgs. 139/2024, pur non incidendo radicalmente sulla struttura della disciplina, ha apportato importanti interventi di razionalizzazione e aggiornamento normativo, allineando la disciplina alle prassi consolidate e colmando alcune significative lacune interpretative sollevate negli scorsi anni.
Nonostante l’intervento del Legislatore nella disciplina, permangono però alcuni profili di incertezza, soprattutto in relazione ad alcuni aspetti della disciplina dei trust e in materia di “società prive d’impresa”, aspetti in relazione ai quali si auspicano interventi.
In ogni caso, la riforma rappresenta un passo significativo verso una disciplina più chiara, coerente e funzionale alle esigenze attuali del sistema fiscale.
 

Per gentile concessione dell'Editore Il Sole 24 Ore

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