Espropriazione forzata nei confronti delle Aziende Sanitarie Locali

E’ stato chiesto al Dipartimento di Consulenza Legale e Contrattuale di spiegare in che modo è possibile agire esecutivamente nei confronti delle aziende sanitarie locali (comunemente denominate ASL).

La questione è intimamente connessa alla problematica relativa alla natura giuridica delle ASL, dal momento che la loro qualificazione si ripercuote tanto sulle attività propedeutiche all’avvio dell’espropriazione forzata, quanto sulle forme e modalità di svolgimento che la stessa può assumere.
 
1. La natura giuridica delle ASL.
 
Per individuare la natura giuridica delle ASL, bisogna necessariamente fare riferimento alla disciplina recata dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, che, all’art. 3, ha previsto che le unità sanitarie locali, ossia le strutture attraverso le quali le regioni assicurano i livelli essenziali di assistenza definiti dal piano sanitario nazionale, si costituiscono, in funzione del perseguimento dei loro fini istituzionali, “in aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale; la loro organizzazione ed il funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, nel rispetto dei principi e criteri previsti da disposizioni regionali”.

Sulla scorta di tale previsione normativa, è stato affermato che le ASL debbono essere considerate alla stregua di enti pubblici in senso stretto, in quanto, pur avendo autonomia giuridica e gestionale, nonché imprenditoriale, non hanno per oggetto lo svolgimento di attività di impresa nel senso fatto proprio dagli artt. 2082 e seguenti c.c., ma hanno un preciso fine istituzionale, vale a dire quello di porre in essere prestazioni di natura sanitaria e assistenziale; in quest’ottica, non muta la natura di ente pubblico in senso stretto il fatto che tale attività possa essere svolta anche con criteri e mezzi imprenditoriali, atteso che, per un verso, certamente non ricorre il carattere tipico dell’imprenditorialità (intesa come determinazione in piena libertà del prezzo delle prestazioni offerte in base all’andamento concorrenziale della domanda e dell’offerta) e che, per altro verso, il sistema di finanziamento delle ASL è principalmente di tipo pubblico e non dipende (né esclusivamente né prevalentemente) dallo svolgimento, peraltro meramente eventuale, di attività lucrativa, posto che, in ogni caso, il lucro che se ne dovesse ricavare deve sempre essere destinato al finanziamento dell’attività sanitaria e assistenziale.

Per quanto le modifiche apportate al succitato art. 3 dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229 (che, in particolare, aveva introdotto il comma 1-ter, a mente del quale “Le aziende di cui ai commi 1 e 1-bis informano la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità e sono tenute al rispetto del vincolo di bilancio, attraverso l’equilibrio di costi e ricavi, compresi i trasferimenti di risorse finanziarie. Agiscono mediante atti di diritto privato. I contratti di fornitura di beni e servizi, il cui valore sia inferiore a quello stabilito dalla normativa comunitaria in materia, sono appaltati o contrattati direttamente secondo le norme di diritto privato indicate nell’atto aziendale di cui al comma 1-bis”) potessero indurre a qualificare le ASL in termini di enti pubblici economici, la giurisprudenza che più diffusamente ha indagato la loro natura giuridica è giunta a conclusioni opposte. In particolare, è stato evidenziato che, sebbene abbia una gestione di tipo aziendalistico, strumentale al raggiungimento dell’efficienza della propria azione (per ciò intendendosi il perseguimento dell’interesse pubblico con il minore dispendio possibile di risorse finanziarie e mezzi in generale), la ASL, a differenza dell’ente pubblico economico, non svolge inevitabilmente attività imprenditoriale ed economica, essendo questa solo una possibilità in più riconosciutale per l’espletamento del servizio socio-sanitario-assistenziale, che rappresenta l’attività a essa connaturata ed essenziale; l’autonomia imprenditoriale, dunque, è un mezzo e non il fine, cioè uno strumento solo eventuale di cui la ASL può avvalersi per il raggiungimento dei suoi obiettivi istituzionali, che non consente di ridurre la multiforme attività demandatale entro schemi strettamente economico-produttivi, sia per la perdurante rilevanza delle funzioni pubblicistiche, sia per il carattere eminentemente sociale del servizio sanitario, sia in considerazione del fatto che, da un lato, la legislazione statale reca disposizioni penetranti sugli organi e sulla struttura organizzativa interna delle ASL (nell’ambito delle quali la loro autonomia organizzativa appare circoscritta ad aspetti minori) e, dall’altro lato, i costi del servizio sono sostenuti anche con entrate estranee a una gestione puramente economica (visto che, fatti salvi gli interventi statali di ripiano, le ASL sono finanziate dalle regioni e l’eventuale quota dei disavanzi resta a carico dei bilanci regionali e deve essere coperta dalle stesse regioni con l’aumento delle aliquote delle addizionali regionali ai tributi erariali o con la reintroduzione di misure di compartecipazione degli assistiti alla spesa sanitaria).

Per la verità, non sono mancati, anche recentemente, autorevoli pronunce che, sia pure in modo assai breviloquente (ossia senza approfondire gli argomenti posti a supporto dell’affermazione espressa), hanno sostenuto la natura di enti pubblici economici delle ASL (il riferimento è a Cass. civ., Sez. III, 20 maggio 2014, n. 11088, secondo la quale, dopo le modifiche apportate dal d.lgs. 229/1999 all’art. 3 d.lgs. 502/1992, è coerente attribuire alle ASL la qualifica di enti pubblici economici, nonché a Corte cost., 20 marzo 2013, n. 49, secondo cui le ASL si caratterizzano per essere enti pubblici economici esercenti la loro attività secondo le regole del diritto privato).

Purtuttavia, l’orientamento maggioritario (fatto proprio, da ultimo, da Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 2015, n. 3133) è incline a confermare la natura di ente pubblico non economico della ASL.
Un tanto comporta, innanzitutto, l’assoggettamento dell’esecuzione forzata in danno delle ASL alle regole dettate dall’art. 14, comma 1, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, in virtù del quale la notifica del precetto (atto propedeutico all’avvio dell’espropriazione forzata) non può avvenire prima che siano decorsi centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. La ratio di tale disposizione è stata individuata nella necessità di concedere agli enti pubblici un lasso di tempo per adempiere quanto stabilito dal titolo esecutivo formatosi nei loro confronti, per evitare il blocco dell’attività amministrativa derivante da ripetuti pignoramenti di fondi, contemperando l’interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello generale a una ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche (come confermato dall’art. 4 d.m. 2 aprile 1997, in base al quale le tesorerie dello Stato, in caso di notifica di atto di pignoramento o sequestro contro amministrazioni dello Stato, effettuano i relativi accantonamenti soltanto nel caso in cui da tali atti esecutivi si desuma che il relativo titolo esecutivo è stato notificato all’amministrazione esecutata e questa non ha provveduto al pagamento nel suddetto termine dilatorio, mentre, qualora dagli atti esecutivi ciò non possa desumersi, la tesoreria si astiene dall’eseguire l’accantonamento).

Il mancato rispetto del termine in questione è suscettibile non solo di essere fatto valere quale motivo di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., ma, altresì, di essere rilevato in via officiosa dal giudice dell’esecuzione e di condurre alla declaratoria di improcedibilità dell’azione esecutiva.

A seguito della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1, comma 51, l. 13 dicembre 2010, n. 220 (come modificato dapprima dall’art. 17, comma 4, lett. e), d.l. 6 luglio 2011, n. 98 e, successivamente, dall’art. 6-bis, comma 2, lett. a) e b), d.l. 13 settembre 2012, n. 158) da parte di Corte cost., 12 luglio 2013, n. 186, è, invece, venuto meno il limite all’avvio dell’esecuzione forzata in danno delle ASL appartenenti a regioni commissariate, in quanto sottoposte a piani di rientro dai disavanzi sanitari sottoscritti ai sensi dell’art. 1, comma 180, l. 30 dicembre 2004, n. 311. La disposizione censurata, che aveva disposto dapprima la sola inefficacia e poi l’estinzione di diritto dei pignoramenti e delle prenotazioni a debito operate nel corso delle procedure esecutive sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni soggette a commissariamento alle ASL delle regioni medesime, è stata dichiarata illegittima in quanto impediva di porre in esecuzione i titoli esecutivi ottenuti nei confronti delle ASL, ledendo, in questo modo, il diritto di agire in giudizio, il principio di parità delle armi e la libertà di iniziativa economica (tutelati, rispettivamente, dagli artt. 24, 111 e 41 Cost.); in particolare, la Corte costituzionale ha evidenziato che un intervento legislativo che, di fatto, svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore può ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie qualora, per un verso, siffatto svuotamento sia limitato a un ristretto periodo temporale e, per altro verso, sia previsto un meccanismo di risanamento che canalizzi in un’unica procedura concorsuale le singole azioni esecutive, con strumenti di tutela dei diritti dei creditori che assicurino loro una modalità sostitutiva di soddisfazione, posto che, diversamente, si determinerebbe un’inammissibile esenzione della parte pubblica (di cui lo Stato risponde economicamente) dagli effetti pregiudizievoli della condanna giudiziaria.
 
2. L’espropriazione dei beni delle ASL.
 
Dalla natura di ente pubblico della ASL deriva anche un particolare regime di espropriabilità dei suoi beni, i quali sono assoggettati alle disposizioni dettate dagli artt. 822 e seguenti c.c., come esplicitato anche dall’art. 5 d.lgs. 502/1992 (che, nell’affermare che il patrimonio delle ASL, costituito da tutti i beni mobili e immobili a esse appartenenti, anche per effetto del loro trasferimento da parte dello Stato o di altri enti pubblici, in virtù di leggi o di provvedimenti amministrativi, nonché da tutti i beni comunque acquisiti nell’esercizio della propria attività o a seguito di atti di liberalità, sono disponibili secondo il regime della proprietà privata, fa salvo quanto previsto dall’art. 830, comma 2, c.c., che, per i beni degli enti pubblici non territoriali destinati a un pubblico servizio, richiama il divieto di sottrarli alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano di cui al precedente art. 828, comma 2, c.c.).

Tenuto conto di ciò, potrebbe rivelarsi particolarmente arduo promuovere fruttuosamente l’espropriazione mobiliare presso il debitore, dal momento che, pur essendo assolutamente verosimile che le ASL detengano beni mobili non strumentali all’espletamento del servizio pubblico cui sono preposte (si pensi, per esempio, a strumentazioni e ad arredi non strettamente indispensabili o meramente ornamentali) e nonostante la giurisprudenza abbia considerevolmente ristretto la portata dal disposto dell’art. 514 c.p.c. (che dichiara impignorabili le cose dichiarate tali da specifiche disposizioni di legge, nonché gli oggetti che il debitore ha l’obbligo di conservare per l’adempimento di un pubblico servizio), la loro concreta individuazione può risultare, di fatto, tutt’altro che agevole, sicché è ragionevole immaginare che, nel dubbio, l’ufficiale giudiziario, cui è demandato di rilevare, in concreto, l’impignorabilità assoluta dei beni rinvenuti, preferisca astenersi dall’eseguire il pignoramento, piuttosto che darvi corso, per non correre il rischio che, a suo carico, vengano ravvisate responsabilità nei confronti del creditore procedente (a mente dell’art. 60, n. 2), c.p.c.) o di chi ha subito l’espropriazione (a termini dell’art. 2043 c.c.).

Con riguardo ai beni immobili, poiché l’assoggettamento delle ASL agli obblighi di trasparenza sanciti dal d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 impone loro di rendere note le informazioni identificative degli immobili posseduti e di quelli detenuti, dai relativi elenchi pubblicati sul sito internet istituzionale potrebbe evincersene la natura strumentale o meno e, in questo modo, verificare se ve ne siano alcuni suscettibili di essere aggrediti esecutivamente; peraltro, il rischio che, a fronte di dati non univoci e, per ipotesi, non aggiornati, nel corso dell’espropriazione così intrapresa venga accertata la non assoggettabilità del bene a esecuzione forzata ai sensi dell’art. 830, comma 2, c.c. (circostanza che renderebbe vane le attività processuali fino a quel momento compiute e privi di utilità i costi sostenuti per darvi corso), appare, in ogni caso, consigliabile fare precedere la richiesta di pignoramento da indagini supplementari, per quanto il relativo onere possa avere un’incidenza significativa nell’economia complessiva dell’azione esecutiva, soprattutto se il credito da soddisfare sia di importo non particolarmente elevato.

Alla luce delle considerazioni finora svolte, la via più proficua da intraprendere pare essere l’espropriazione mobiliare presso terzi e, in particolare, nei confronti dell’istituto bancario che svolge la funzione di tesoriere della ASL debitrice. Per quanto, infatti, sia tuttora vigente il limite di cui all’art. 1, comma 5, d.l. 18 gennaio 1993, n. 9, che ha introdotto un’ipotesi di impignorabilità delle somme dovute a qualsiasi titolo dalle ASL fino alla concorrenza degli importi corrispondenti agli stipendi e alle competenze comunque spettanti al personale dipendente o convenzionato, nonché nella misura dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell’erogazione dei servizi sanitari essenziali individuati con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro del tesoro, le modifiche introdotte dal legislatore per effetto della sentenza di Corte cost., 29 giugno 1995, n. 285 fanno sì che la sottrazione di tali somme all’espropriazione forzata possa essere opposta al creditore soltanto a condizione che l’organo amministrativo della ASL abbia adottato, per il relativo trimestre, una deliberazione che quantifichi preventivamente gli importi delle somme innanzi destinate e che, a fare data dall’adozione di siffatta delibera, non siano emessi mandati di pagamento a titoli diversi da quelli vincolati, se non seguendo l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, dalla data della deliberazione di impegno da parte dell’ente.

In virtù di quanto stabilito dall’art. 26-bis, comma 1, c.p.c., foro competente per l’espropriazione dei crediti nei confronti delle ASL è il tribunale del luogo in cui ha sede o risiede il terzo debitore (posto che, come si evince dalla relazione accompagnatoria della legge di conversione del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, che ha introdotto nell’ordinamento il predetto art. 26-bis c.p.c. e al di là dell’equivoco richiamo da questo operato alle “pubbliche amministrazioni indicate dall’articolo 413, quinto comma”, per tali debbono intendersi i soggetti elencati dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e, dunque, anche “le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”, mentre risultano chiaramente inapplicabili le diverse regole dettate dal comma 1-bis dell’art. 14 d.l. 669/1996, il quale, da un lato, prescrive che gli atti di pignoramento debbono essere notificati, a pena di nullità, presso la struttura territoriale dell’ente pubblico nella cui circoscrizione risiede il soggetto privato interessato e, dall’altro lato, stabilisce che il pignoramento di crediti promosso nei confronti di enti e istituti esercenti forme di previdenza e assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale deve essere instaurato, a pena di improcedibilità rilevabile d’ufficio, esclusivamente innanzi al giudice dell’esecuzione della sede principale del tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento in forza del quale la procedura esecutiva è promossa). Fermo restando, peraltro, che, per effetto dell’equiparazione che la giurisprudenza ravvisa, ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente, tra il luogo in cui ha sede la banca e quello in cui si trova la succursale o l’agenzia che ha in carico il rapporto rilevante ai fini dell’esecuzione forzata, l’espropriazione dei crediti della ASL nei confronti dell’istituto tesoriere può essere radicata, alternativamente, nel luogo ove quest’ultimo ha la sede legale o in quello in cui è ubicata la filiale presso la quale è acceso il conto corrente di tesoreria, ovvero sul quale vanno fatti confluire i pagamenti dovuti all’ente e la banca stessa è tenuta a eseguirli.

Resta da dire che, per effetto di quanto stabilito dall’art. 14, comma 1-bis, d.l. 669/1996, il pignoramento dei crediti delle ASL perde efficacia quando dal suo compimento è trascorso un anno senza che sia stata disposta l’assegnazione e che la relativa ordinanza perde, a propria volta, efficacia qualora il creditore procedente, entro un anno dalla data in cui è stata emessa, non provveda all’esazione delle somme assegnate (dovendosi, entro tale termine, quantomeno procedere alla notificazione dell’ordinanza di assegnazione al terzo pignorato, adempimento con il quale può farsi coincidere l’avvio della procedura di riscossione).

Un breve cenno va dedicato, infine, alla speciale procedura, definita “in conto sospeso”, disciplinata dal comma 2 dell’art. 14 d.l. 669/1996, in virtù della quale, anche in assenza di disponibilità finanziarie sul pertinente capitolo di spesa, l’ente debitore può comunque disporre il pagamento mediante emissione, da parte del dirigente responsabile, di uno speciale ordine di pagamento rivolto all’istituto tesoriere, da regolare, per l’appunto, in conto sospeso; con l’attribuzione ex lege all’ufficio della provvista necessaria, viene, così, consentita l’esecuzione dei provvedimenti di condanna dell’amministrazione al pagamento di somme di denaro determinate nel loro preciso ammontare anche in assenza di fondi disponibili per farvi fronte. Sebbene la legge non preveda una procedura di richiesta o di attivazione da parte del privato di tale speciale modalità di pagamento, poiché la sua ratio è quella di evitare gli aggravi di spesa connessi all’avvio dell’espropriazione forzata e i danni che ne deriverebbero per l’erario, nonché di limitare il pignoramento di fondi idoneo a provocare un blocco dell’attività amministrativa, contemperando così l’interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello generale a una ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche, non è affatto da escludersi che il creditore possa sollecitare l’amministrazione debitrice ad adoperarsi per l’attivazione di tale procedura, anche in considerazione della responsabilità erariale che potrebbe ascriversi ai dirigenti in caso di danni (in termini di maggiori costi e interessi da corrispondere al creditore a causa del ritardato pagamento) riconducibili al mancato esercizio di tale facoltà espressamente prevista dalla legge.

 
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