Punto di vista di Massimo Di Carlo

Rinasceremo con la cultura? 

Mi è stato chiesto degli Amici della rubrica "Punti di vista..." il mio personale contributo sulle conseguenze che l’emergenza determinata dalla diffusione del Covid-19 ha avuto sul nostro sistema culturale.

Ci siamo lasciati alle spalle un 2019 con numeri record nel settore della cultura. I dati dell’Ufficio Studi Enit a ottobre 2019 avevano registrato oltre 360 milioni di notti trascorse nella Penisola (+4,4%) per un valore di circa 40 miliardi. Parliamo di quasi il 13% del Pil, secondo le stime di Banca d’Italia e secondo i dati di Eurostat di 4,2 milioni di occupati. Al centro, naturalmente, quel patrimonio straordinario di bellezze naturali e di cultura viva delle nostre città d’arte, di eventi, spettacoli e quant’altro nel nostro Paese viene confezionato con quel gusto tutto italiano, che è fatto di creatività e fantasia, difficile da replicare. 

A soli cinque mesi di distanza tutto questo è sparito, le nostre città si sono fermate e appaiono quasi deserte senza quel numero di visitatori che eravamo ormai soliti considerare parte del panorama urbano. Nei mesi del lockdown la natura si è riappropriata dei siti archeologici, delle piazze, delle mura antiche, dei mari, delle nostre montagne. 

E noi? Prima frastornati da un evento così complesso e difficile da interpretare, poi attenti ad ogni piccolo segno di positività, infine rassegnati ad una necessaria ubbidienza abbiamo meditato e ascoltato il richiamo di quei valori culturali che soli fanno di un popolo una civiltà, riscoprendo una dimensione slow, temporanea certo, ma non per questo meno istruttiva per il futuro. 

Perché una cosa è certa: il Paese tornerà a correre ma il segno di questo eccezionale evento lo porteremo appresso per molto tempo ed è nostro dovere fare tesoro di quello che abbiamo visto e vissuto. 

Metterei al primo posto la pietas, per coloro che non ce l’hanno fatta, poi l’humanitas di coloro che li hanno assistiti e delle famiglie in lutto, (“homo sum, humani nihil a me alienum puto” recitava Cremete nell’opera Heautontimerumenos di Terenzio) e infine la paideia, nel senso proprio di istruzione e cultura, vero antidoto all’incognita della malattia, a cui abbiamo fatto ricorso per trovare risposte adeguate ad interpretare quel mondo alla rovescia che d’improvviso è apparso davanti ai nostri occhi, come il Re nudo della celebre fiaba di Andersen. 

E cosa abbiamo visto? Fragilità dell’intero sistema economico, debolezze e carenze della filiera sanitaria, disorientamento della classe politica, mali endemici del Paese, che abbiamo toccato con mano in tutte le cronache che hanno raccontato l’Italia durante il lockdown.  Meglio nella fase 1, molto peggio in quella della ripresa. 

Anche il sistema cultura, che con il turismo rappresenta un settore fondamentale, ha mostrato il fianco: molte le criticità, alcune latenti ma dai più inascoltate nell’euforia dei numeri da anni in crescita di quei consumatori di cultura, che hanno scelto il nostro Paese come meta di vacanze, mare, montagna e soprattutto i mille e più borghi e città d’arte, che fanno dell’Italia un unicum al mondo. 
Il comparto è in ginocchio e tragicamente sembra essersi avverata quella tanto criticata frase di un ministro all’economia che molti anni fa diceva appunto che di cultura non si vive. 

Ed è proprio così, dobbiamo prenderne atto e coloro che hanno sentenziato contro questa affermazione, politici scandalizzati in primis, ben poco -oggi ci è chiaro- hanno fatto in questi anni per trasformare questo portafoglio eccezionale in un asset strutturale dell’intero sistema economico del Paese. 

Si sono lasciate vivere enormi sacche di occupazione precaria e spesso illegale, non si è impedito la crescita esponenziale di una filiera poco trasparente di strutture recettive e residenziali, b&b, airb etc, si è acconsentito ad una tassazione ai massimi storici, non sono state previste tutele per quel mondo straordinario di operatori come gli artisti di strada, musicisti, circensi, spesso piccoli imprenditori di sé stessi, non marginali nell’humanitas appunto di una società, che oggi vivono senza alcun paracadute, come moltissimi artisti, uomini e donne del teatro, della musica, lasciati soli nella pandemia. 

Questo è un curioso Paese nel quale tutti, e soprattutto le classi politiche che si sono avvicendate negli ultimi vent’anni alla guida dell’Italia, hanno sempre vestito i panni dei paladini della bellezza e della cultura e mai hanno veramente realizzato un piano organico e sistematico di trasformazione del comparto cultura in un sistema economico strutturale, al pari di quello produttivo delle imprese. Quasi che la Cultura (e il Turismo, che di essa si nutre) per definizione potesse continuare ad essere creativa, dunque non catalogabile in categorie economiche precise, immateriale, dunque inafferrabile all’interno di un sistema produttivo globale, libera e dunque passibile anche di illegalità. 

Massimo Di Carlo
Direttore della Galleria dello Scudo fondata a Verona nel 1968.
Membro di comitati scientifici di numerose esposizioni pubbliche in Italia e all’estero, per tre mandati consecutivi, dal 2001 al 2013, è stato Presidente dell’ANGAMC – Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea. Membro del Comitato di Selezione di Arte Fiera.
Condividi su: linkedin share facebook share twitter share
Sigla.com - Internet Partner