Costituzione di società all’estero ed esterovestizione

Nell’ambito della preliminare valutazione in merito alla costituzione di una società all’estero, che deterrebbe partecipazioni in società residenti in Italia, è stata chiesta al Dipartimento Internazionalizzazione d’Impresa un’analisi delle eventuali problematiche di “esterovestizione” che potrebbero sorgere in seguito a tale specifica operazione.

Ai sensi dell’art. 73, c. 5-bis del Tuir, è prevista per l’Amministrazione Finanziaria la possibilità, salvo prova contraria, di considerare esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, del codice civile, in enti collettivi residenti indicati dal medesimo articolo, quando, alternativamente:
  • sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
  • sono amministrati da un Consiglio di Amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Il successivo comma 5-ter specifica, inoltre, che ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui sopra, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, è previsto che per le persone fisiche si tenga conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’art. 5, comma 5 del Tuir (e pertanto il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado).

Sulla questione occorre rilevare che i commi 5-bis e 5-ter dell’art. 73 del Tuir hanno l’obiettivo di contrastare il fenomeno della c.d. esterovestizione di soggetti italiani, mediante la presunzione legale (relativa) afferente la localizzazione in Italia delle sede dell’amministrazione della società costituita all’estero. La stessa relazione accompagnatoria al decreto legge 223/2006, introduttivo nel Tuir dei commi poc’anzi menzionati, ha precisato che la finalità della norma è quella di “contrastare il fenomeno delle società cosiddette esterovestite. Si tratta di soggetti che presentano due rilevanti e continuativi elementi di collegamento con il territorio dello Stato, in quanto detengono partecipazioni di controllo in società ed enti residenti nel territorio dello Stato che, a loro volta, sono controllate o amministrate da soggetti residenti”.

L’obiettivo della norma è pertanto quello di arginare la costituzione di società estere fittizie, spesso utilizzate come holding intermedie e possedute da soci italiani al fine di sottrarsi ai più onerosi obblighi fiscali previsti dall’ordinamento di appartenenza ed anche al fine di godere del regime della participation exemption di cui all’art. 87 del TUIR (cfr. P.Borelli, “Architetture Societarie Complesse ed Esterovestizione”, il Fisco 30/2014, p. 2982).

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito (Circolare 28/E del 2006) che il comma 5-bis stabilisce, in presenza delle summenzionate condizioni, l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve provare che la sua sede di direzione non è in Italia ma all’estero, dimostrando pertanto che, nonostante i presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a confermare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero (sul punto si veda anche M. Leo “Le Imposte Sui Redditi Nel Testo Unico”, Tomo II, p. 1147). Si sottolinea che, con la stessa circolare, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito altresì che la disciplina in esame è applicabile anche ai casi in cui tra i soggetti residenti controllanti e controllati si interpongano una o più sub-holding estere.

Nel valutare la possibilità di costituire una società all’estero, devono pertanto essere tenuti in considerazione gli aspetti sopra esposti, in particolare si evidenzia l’importanza di strutturare dei board della società estera in cui non vi sia una prevalenza di consiglieri residenti in Italia, onde evitare l’onere, per la società con sede legale all’estero, di dover poi fornire prova che la sede dell’amministrazione non si trovi, invece, nel territorio nazionale.

Con specifico riferimento alla prova contraria da fornire, si evidenzia che in dottrina (cfr. Assonime n. 67 del 31 ottobre 2007, pagg. 28 ss.) sono stati presi in considerazione i seguenti casi concreti:
  • le holding miste (imprese che detengono partecipazioni in una o più società italiane ma svolgono prevalentemente all’estero un’attività industriale, commerciale o finanziaria) per superare la presunzione potrebbero invocare validamente l’effettiva localizzazione dell’attività principale all’estero;
  • le holding estere di gestione (imprese che svolgono concretamente un’attività di direzione e coordinamento delle società partecipate, prestando talvolta anche servizi ausiliari finanziari ed amministrativi) potrebbero fornire prova contraria rilevando che l’attività svolta è un’attività economica autonoma rispetto a quelle delle partecipate e dimostrando che il luogo in cui tale attività si svolge è all’estero;
  • le holding passive (che detengono partecipazioni di società residenti in Italia e non svolgono all’estero alcuna attività economica) potrebbero avere alcune difficoltà nel fornire prova contraria stante la mancanza all’estero di una struttura organizzativa apprezzabile. In tal caso, la prova contraria diventerebbe eccessivamente onerosa, ed inciderebbe sulla stessa possibilità di costituire all’estero tali holding (sulla questione si veda anche M. Leo “Le Imposte Sui Redditi Nel Testo Unico”, Tomo II, p. 1148).
Si evidenzia inoltre che, come sostenuto da autorevole dottrina, la presunzione di cui al comma 5-bis ha l’esclusivo effetto di localizzare la sede della società nel territorio dello Stato, non individuando, tuttavia, il Comune in cui la stessa sarebbe ubicata; quest’ultimo, pertanto, dovrebbe essere oggetto di prova da parte dell’Amministrazione Finanziaria, al fine di garantire la prevista legittimità della notificazione degli atti impositivi, dovendosi individuare l’Ufficio competente ai fini dell’accertamento (cfr. M. Trivellin, “Profili procedimentali di diritto interno conseguenti alla nuova presunzione di residenza in Italia delle società (art. 73, comma 5-bis, TUIR)”, in “Riv. dir. trib.”, 2007, I, pag. 660). Operando diversamente, è stato sostenuto che potrebbe essere eccepita l’illegittimità dell’avviso di accertamento per incompetenza dell’Ufficio (cfr. Assonime n. 67 del 31 ottobre 2007, pag. 39). Tuttavia si sottolinea che, nella maggior parte dei casi, i verificatori tendono a far coincidere la sede dell’amministrazione della società estera con quella della società controllata residente.

Da ultimo si segnala che l’Agenzia delle Entrate ha specificato che la presunzione contenuta nei commi 5-bis e 5-ter dell’art. 73 del Tuir ha l’obiettivo di agevolare il compito del verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto necessari per la determinazione della residenza effettiva della società, tuttavia “… non lo esonera dal provare in concreto l’effettività dell’esterovestizione …”, cosicché “… le norme richiamate non operano mai isolatamente, ma costituiscono solo il punto di partenza per una verifica più ampia, da effettuarsi in contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, sull’intensità del legame tra la società e lo Stato estero e tra la medesima società e l’Italia” (Protocolli Agenzia delle Entrate n. 2010/39678 del 19 marzo 2010 e n. 2010/157346 del 20 dicembre 2010).
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