Curatela fallimentare: la Cassazione interviene sul tema della responsabilità della banca verso il fallimento per concessione abusiva del credito

22/09/2021

Curatela fallimentare: la Cassazione interviene sul tema della responsabilità della banca verso il fallimento per concessione abusiva del credito
A cura di Giorgio Aschieri

Con la Sentenza n.24725 depositata in data 14.9.2021, la Corte di Cassazione interviene sul tema della responsabilità della banca verso il fallimento per concessione abusiva del credito.

Il tema non è nuovo ma di sicura rilevanza, non solo teorica ma anche pratica: si pensi al fatto che molte volte l’azione di responsabilità verso gli amministratori non viene esperita esclusivamente per loro incapienza e conseguente impossibilità di realizzare attivo fallimentare.

Il fatto che – come vedremo – l’azione viene considerata nella decisione in commento come di pertinenza del curatore fallimentare e non del singolo creditore, concretando una responsabilità concorrente della banca con l’organo amministrativo della società, rende la stessa certamente meritevole di approfondimento.

A tal riguardo la sentenza merita una lettura integrale, anche per la molteplicità dei temi trattati nonché per la precisione ed esaustività della motivazione del provvedimento. Ci limitiamo quindi, in questa sede, a dar conto dei principali snodi logico-giuridici contenuti nella suddetta decisione.

I fatti di causa sono molto semplici: il Tribunale di Terni rigettò la domanda di un fallimento nei confronti della Banca Popolare di Spoleto, con cui si chiedeva a tale istituto il risarcimento del danno patito dal patrimonio della società a causa della concessione abusiva (in questo caso, imprudente) di credito. Il Tribunale rigettò la domanda ritenendo che il curatore fosse privo di legittimazione ad agire verso la banca, perché per affermare tale responsabilità  “è necessario passare per un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore rispetto al quale la condotta dell’istituto di credito si pone in termini di complicità”. La Corte d’Appello confermò questo capo della decisione di primo grado.

La Corte di Cassazione, nella sua lunga ed articolata decisione (che qui commentiamo intenzionalmente in modo molto sintetico, rinnovando il suggerimento di leggerla integralmente), definisce anzitutto il concetto di “concessione abusiva del credito” come violazione, da parte dell’operatore bancario, dei principi di c.d. “sana e corretta gestione” più volte enunciato all’interno del Testo Unico Bancario, che si estrinseca nel dovere di valutare con prudenza la concessione del credito ai soggetti finanziati.

Questa violazione può produrre effetto non solo nei confronti dell’impresa finanziata, ma parimenti tutti gli stakeholders che con l’azienda sono entrati in relazione e che vengono pregiudicati dal fatto che, per mezzo della concessione imprudente del finanziamento, si protrae un’attività aziendale che aggrava il deficit patrimoniale e riduce la garanzia patrimoniale del debitore ex art.2740 c.c. e quindi tutti i suoi creditori. A tal riguardo, il fulcro della responsabilità sta nel fatto di aver erogato un finanziamento ad un soggetto in crisi, allorché con una valutazione ragionevole secondo le conoscenze in possesso della banca e la professionalità esigibile dal suo operato, era ragionevole pensare che tale finanziamento non costituisse un mezzo per risolvere la crisi o quantomeno per non aggravarla, ma al contrario consentisse appunto a protrarre una gestione che “brucia cassa” e senza prospettive concrete di risanamento.

In altre parole, secondo la Corte, il problema non sta certo nel fatto che il finanziamento sia erogato ad un soggetto in crisi (la Legge Fallimentare disciplina molti strumenti per fare ciò), quanto nel fatto che il finanziamento non solo non la risolve, ma al contrario la aggrava. Ovviamente per accogliere la domanda risarcitoria la banca deve esserne consapevole, o avrebbe dovuto esserlo usando la diligenza professionale dovuta in questi casi.

Venendo poi al tema della legittimazione del curatore, ossia il punto su cui l’azione del predetto curatore è stata rigettata nei primi due gradi del giudizio, la Corte accoglie come detto il ricorso, considerando la banca come responsabile in solido dell’illecito dell’amministratore (ossia il ricorso abusivo al finanziamento) nei confronti della società fallita. Al riguardo, precisa la Cassazione, va rigettata la tesi (pur sostenuta in passato dalla stessa Corte) per cui la società non potrebbe essere, nel contempo, autore dell’illecito e vittima del medesimo. La responsabilità dell’amministratore, pur se legato alla società da un rapporto organico, rimane personale ed anzi è normale – e normato – il fatto che l’amministratore risponda dei danni nei confronti della società, se ne ricorrono i presupposti.
L’azione in questione viene considerata come “della massa” dei creditori e non degli stessi intesi singolarmente, perché punta a ripristinare il patrimonio dell’impresa e quindi della sua garanzia patrimoniale ex art.2740 c.c., a prescindere da chi sia il soggetto che beneficerà dei riparti fallimentari.

Chiarito questo punto dirimente, la Cassazione prosegue la motivazione chiarendo che la responsabilità della banca verso la società è precontrattuale ex art.1337 c.c. “per aver contrattato senza il rispetto delle prescrizioni speciali e generali che ne presidiano l’agire, dolosamente o colpevolmente disattendendo gli obblighi di prudente ed accorto operatore professionale” (oppure contrattuale ex art.1218 c.c. ove sia imputata alla banca la prosecuzione di un finanziamento in corso).

Nei confronti del ceto creditorio, invece, la responsabilità è extracontrattuale ex art.2043 c.c. ed in concorso, se del caso, con quella degli amministratori ex art.2055 c.c., senza necessità di convenire pure costoro in giudizio trattandosi di un caso di litisconsorzio facoltativo.
* * *
Per concludere la disamina di questa interessante (ed utile) decisione, riportiamo qui di seguito il principio di diritto enunciato nella sentenza:
Non integra abusiva concessione di credito la condotta della banca che, pur al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi dell'impresa, abbia assunto un rischio non irragionevole, operando nell'intento del risanamento aziendale ed erogando credito ad un'impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di proficua permanenza sul mercato, sulla base di documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ai detti scopi.

Il curatore fallimentare è legittimato ad agire contro la banca per la concessione abusiva del credito, in caso di illecita nuova finanza o di mantenimento dei contratti in corso, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all'impresa conseguito al finanziamento e per il pregiudizio all'intero ceto creditorio a causa della perdita della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c..

La responsabilità in capo alla banca, qualora abusiva finanziatrice, può sussistere in concorso con quella degli organi sociali di cui alla L.Fall., art. 146, in via di solidarietà passiva ai sensi dell'art. 2055 c.c., quali fatti causatori del medesimo danno, senza che, peraltro, sia necessario l'esercizio congiunto delle azioni verso gli organi sociali e verso il finanziatore, trattandosi di mero litisconsorzio facoltativo
”.

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