Il concordato nella liquidazione giudiziale: funzione e opportunità correlate

15/12/2025

Il concordato nella liquidazione giudiziale: funzione e opportunità correlate

Fisco, Crisi d'Impresa, ESG - Cap. 3 da pag. 169 a pag. 175 - di Giorgio Aschieri

Il volume nasce per celebrare il venticinquesimo anniversario di ACB Group, network che ha saputo coniugare la forza di un brand comune con la pluralità delle identità dei suoi Studi Member. Realizzato anche con il contributo dei nostri partner, il libro affronta tre ambiti strategici – Fisco, Crisi d’impresa e ESG – delineando lo stato dell’arte, le criticità e le prospettive evolutive. L’opera riflette la mission di ACB: promuovere conoscenza, etica e innovazione, confermandosi modello di aggregazione capace di affrontare le sfide della complessità, della digitalizzazione e del ricambio generazionale.
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All’interno della sezione dedicata alla Crisi d’Impresa, il contributo di Giorgio Aschieri si distingue per l’approfondimento tecnico e interpretativo di uno dei temi più complessi e attuali del diritto commerciale. La sua analisi si concentra sul ruolo del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, evidenziando il passaggio culturale dalla gestione patologica dell’insolvenza alla prevenzione e alla composizione anticipata delle difficoltà aziendali.
Il capitolo affronta in particolare il concordato nella liquidazione giudiziale, illustrandone struttura, finalità e opportunità operative. Vengono analizzati i punti di forza e le potenzialità di questo istituto, ma anche i limiti e le criticità applicative, alla luce della giurisprudenza e delle prassi più recenti.

Premessa

Il concordato nella liquidazione giudiziale fa parte delle novità introdotte dal Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (di seguito anche “CCII”) e ha sostituito il concordato fallimentare previsto dalla omonima Legge.
Il CCII ha subito ben tre modifiche (Decreto Correttivo, Correttivo Bis e Correttivo Ter, quest’ultimo introdotto mediante il D.Lgs.136/2024), che hanno riguardato anche il nuovo concordato nella liquidazione giudiziale, di seguito “concordato finale”, come da taluni autori efficacemente sintetizzato.
Ma perché è invalsa tale definizione? In effetti nel CCII troviamo molti tipi di concordato (dal preventivo al semplificato al minore), che rappresentano alcune delle alternative negoziali alla liquidazione giudiziale, pensata come strumento residuale. Il concordato finale interviene appunto nella fase terminale della vicenda concorsuale e rappresenta l’estrema possibilità di accordo dell’imprenditore con i creditori. Tale tipologia di concordato contiene in sé, a ben vedere, una duplice funzione: i) rappresenta uno strumento per accelerare la chiusura della liquidazione giudiziale, rispetto al suo iter ordinario; ii) può anche servire per conservare l’impresa e l’attività produttiva, se utilizzato in modo appropriato e rapido.
Ma di questo secondo aspetto tratteremo più avanti, dopo aver sinteticamente esaminato i caratteri essenziali del concordato finale.

1. La struttura del concordato finale

La disciplina di questo istituto, contenuta negli articoli 240 e ss. del CCII, riproduce a grandi linee quella prevista dalla precedente Legge Fallimentare, pur se con significative novità che qui di seguito andremo a esaminare.
Lo schema del procedimento è comunque invariato e si può riassumere nelle seguenti fasi:
a. ammissione della proposta;
b. approvazione;
c. fase di omologazione;
d. fase di esecuzione.
La proposta concordataria può essere formulata sia dal debitore (ma solo se è decorso almeno un anno dall’apertura della liquidazione giudiziale e non oltre due anni dall’esecutorietà dello stato passivo), sia dai creditori o da qualunque altro interessato. Non può essere però presentata dal curatore.
Il fatto di imporre al debitore sia la suddetta finestra temporale, sia un vincolo quantitativo (apportare risorse che incrementino il valore dell’attivo di almeno il 10%), è stato letto come un parziale ostacolo al fresh restart dell’azienda, laddove l’iniziativa intervenga da parte del debitore e un’occasione persa, nell’ottica di accelerare quanto più possibile il rilancio del complesso aziendale a seguito della dichiarazione della liquidazione giudiziale. Si tratta quindi di una limitazione ancora parzialmente connotata, probabilmente, da un’ottica punitiva/dissuasiva che appare un retaggio di una passata concezione del sistema concorsuale.
La proposta può essere formulata anche prima del decreto di esecutorietà dello stato passivo (e qui invece si apprezza la sua funzione acceleratoria), purché il curatore disponga di una base contabile sufficiente per la formulazione di un elenco provvisorio dei creditori, da sottoporre al giudice delegato per l’approvazione.
Il contenuto della proposta è sostanzialmente invariato rispetto al disposto della Legge Fallimentare e può prevedere:
a. la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei (si tratta di una scelta discrezionale, salvo quanto appresso esposto);
b. trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi differenti, indicandone le ragioni;
c. la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessioni di beni, accollo o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori di azioni, quote ovvero obbligazioni anche convertibili o altri strumenti finanziari e titoli di debito.
Come è noto agli addetti ai lavori, la proposta concordataria può assumere varie forme e, storicamente, quella più utilizzata è quella dell’assunzione, ossia una sorta di compravendita degli attivi della procedura da parte di un terzo, a fronte del versamento di un corrispettivo (di solito quasi immediato e adeguatamente garantito) ai creditori. In questo caso non si fa luogo a procedura competitiva, il che rappresenta
senz’altro un vantaggio di questo istituto rispetto agli altri del CCII e, in molte occasioni, il modo con cui gli offerenti hanno spesso realizzato degli affari, talvolta estremamente redditivi.
Nell’autonomia negoziale, comunque, l’offerente può benissimo optare per costruzioni anche molto sofisticate (aumenti di capitale riservati e/o attribuzione ai creditori di strumenti partecipativi di capitale e/o finanziari): in caso di approvazione e successiva omologa del concordato, al curatore possono essere attribuiti (ex art. 264 CCII) i poteri dell’assemblea per l’esecuzione dei vari passaggi realizzativi
dell’operazione straordinaria.
La proposta può poi prevedere la degradazione dei creditori privilegiati, pignoratizi e ipotecari per la parte eccedente quella realizzabile con la liquidazione giudiziale, su conforme attestazione di un professionista indipendente, designato dal Tribunale.
Il sistema è quindi tuttora retto dalla absolute priority rule di cui agli artt. 2740- 2741 c.c., salva la possibilità di degradare il privilegio come sopra esposta e salva, come vedremo, la possibilità di operare il cram down del debito previdenziale ed erariale.
Il c.d. Correttivo Quater ha poi introdotto la figura del concordato finale di gruppo, in presenza di una liquidazione giudiziaria unitaria. In tal caso la proposta concordataria può essere proposta con unica domanda, con più domande tra loro coordinate o con domanda autonoma. Resta ferma l’autonomia delle masse attive e passive. La domanda unica o le domande coordinate devono contenere l’illustrazione delle ragioni di maggiore convenienza, in funzione del migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese, rispetto alla scelta di presentare una domanda autonoma.
Una volta pervenuta la proposta al giudice delegato, il curatore la esamina ed emette un parere (non vincolante) sui presumibili risultati della liquidazione giudiziale e sulle garanzie offerte. Il comitato dei creditori a sua volta emette un parere, ritenuto vincolante, su tali aspetti. Il giudice, dal canto suo, esamina gli aspetti formali per la proposta.
Qualora vi siano più proposte, il CCII innova rispetto alla Legge Fallimentare perché prevede che tutte queste vengano sottoposte ai creditori per l’approvazione, salvo che il curatore e il comitato dei creditori, congiuntamente, individuino una o più proposte come maggiormente convenienti.
Con il decreto di ammissibilità della proposta, il giudice fissa ai creditori un termine entro il quale manifestare il proprio dissenso (il silenzio vale quale voto favorevole, cosa che ovviamente agevola di molto la sua eventuale approvazione e lo differenzia notevolmente dal concordato preventivo, in cui il silenzio ha valenza opposta).
Il CCII, similmente alla Legge Fallimentare, prevede delle limitazioni di voto in tutti i casi di conflitto di interesse dei creditori, nonché in alcuni casi tassativamente indicati che sono espressione del medesimo principio. Il creditore che proponga il concordato o la società che si trovi rispetto a lui nella relazione di cui all’art. 2359 c.c. debbono essere inseriti in apposita classe (in questo caso derogando alla facoltatività
della loro formazione).
In caso di approvazione del concordato finale si passa così alla fase di omologa, ove è ammesso sia il cram down “ordinario” di eventuali creditori dissenzienti sia, come detto, quello fiscale e previdenziale laddove il voto di tali creditori sia determinante e il concordato finale sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, così come attestato nella relazione del professionista indipendente nominato dal Tribunale.
Il decreto di omologa è provvisoriamente esecutivo (salvo provvedimenti di inibitoria) e anche questo è un elemento rilevante ai fini del fresh restart che lo strumento in questione può consentire all’azienda.
Il concordato finale è obbligatorio per tutti i creditori, inclusi quelli che non hanno presentato domanda di impugnazione al passivo, ai quali non si estendono le garanzie date nel concordato da terzi.
È prevista la sua risoluzione «se le garanzie promesse non vengono costituite o se il proponente non adempie regolarmente gli obblighi derivanti dal concordato» e in tal caso si verifica la riapertura della liquidazione giudiziale.

2. Punti di forza e potenzialità dello strumento

Abbiamo già anticipato che il concordato finale può avere, a seconda dei casi, una duplice finalità, ossia quella di accelerare la chiusura della procedura di liquidazione giudiziale (cosa che consente ai creditori di incassare in modo anticipato la percentuale concordataria convenuta, rispetto alle tempistiche ordinarie di incasso del credito soggetto alla falcidia concorsuale), ma anche di consentire un fresh restart del o dei complessi aziendali rientranti nel perimetro della liquidazione giudiziale.
Il primo aspetto presenta dei vantaggi intuitivi e non merita quindi particolari commenti, se non il fatto che per un creditore (soprattutto se in stato di tensione finanziaria) può senz’altro convenire incassare una percentuale inferiore, ma in tempi più brevi, rispetto all’ipotesi di attendere tempi più lunghi nella speranza di incassare importi maggiori. Cosa che ovviamente influenza in molti casi la scelta dei creditori di assentire (o meglio, non dissentire) rispetto alla proposta concordataria.
Questa è la configurazione tipica del concordato finale e, statisticamente, costituisce il motivo principale per cui viene utilizzato: con la formula del “pochi, maledetti e subito” il proponente del concordato finale può allettare i creditori, rassegnati dall’esito indubbiamente negativo costituito dalla liquidazione giudiziale, ottenendo dei cospicui guadagni (mediante il realizzo di assets particolari presenti nel perimetro della liquidazione giudiziale, o lucrando sull’esito positivo di contenziosi in corso).
Se invece consideriamo il concordato finale come strumento per rilanciare la continuità aziendale, a ben vedere, questo strumento potrebbe per certi profili essere considerato una valida alternativa a quello preventivo (ovvero ad altri strumenti di risoluzione della crisi, quali ad esempio l’accordo di ristrutturazione a efficacia estesa), qualora ne ricorrano i presupposti concreti.
Va infatti premesso che i reati concorsuali si applicano a entrambi i tipi di concordato e quindi questo aspetto non è una discriminante in tal senso.
Il presupposto essenziale è, a ben vedere, il fatto che venga almeno temporaneamente preservata la continuità aziendale, mediante un esercizio provvisorio dell’impresa (ipotesi, peraltro, statisticamente assai improbabile), ovvero tramite un affitto di azienda concluso ante liquidazione giudiziale, ovvero nella primissima fase della procedura.
Se tale presupposto viene osservato, le potenzialità del concordato finale come strumento di fresh restart appaiono evidenti.
Questo perché, anzitutto, il silenzio dei creditori, nel primo caso, equivale a voto favorevole. In quello preventivo (e nell’accordo ex art. 61 CCII, laddove si intenda procedere all’estensione) il silenzio si considera invece voto contrario. Il che, ovviamente, aumenta nel primo caso le probabilità di approvazione senza l’alea del cram down.
In secondo luogo, non è prevista una procedura competitiva per l’acquisizione degli attivi concorsuali, il che significa che il proponente del concordato finale può rilevare l’azienda senza gara: è ben vero che tale competizione si può verificare mediante proposte concordatarie concorrenti, ma è altresì da considerare che queste sono molto più difficili da confezionare e presentare, rispetto a una domanda di partecipazione a un incanto. Laddove l’offerente sia anche l’affittuario dell’azienda, la sua posizione di vantaggio appare ancora più evidente.
Ancora, la proposta concordataria può essere presentata dai creditori e dai terzi quasi immediatamente, rispetto all’apertura della liquidazione giudiziale, purché la contabilità sia tenuta in modo tale da consentire al curatore di formare un elenco provvisorio dei creditori.
Il concordato finale consente poi, diversamente dal preventivo, di limitare la responsabilità dell’offerente al pagamento dei soli creditori tempestivamente insinuati, il che circoscrive il rischio di dover rispondere per passività successivamente insorte.
Non serve poi alcuna attestazione della proposta concordataria, se non nel caso di degradazione dei creditori privilegiati. Questo è un ulteriore elemento di indubbio vantaggio rispetto a tutti gli altri strumenti del CCII.
Non è poi obbligatorio formare le classi (se non nel caso di domanda proveniente da un creditore o da una società che con lui si trovi nella relazione ex art.2359 c.c.), cosa che a sua volta può semplificare di molto la stesura del ricorso.
Le opposizioni dei creditori, nel caso di cram down, si limitano a quella sulla convenienza del concordato, proposta dal creditore dissenziente appartenente a una classe dissenziente.
Il concordato finale consente poi una più agevole liquidazione del controvalore delle azioni e quindi delle cause attive, rispetto a quello preventivo o in altri strumenti, in cui tale ipotesi diviene molto più eventuale.
Nel caso di concordato finale di natura liquidatoria, se non proposto dal debitore, non è necessario (diversamente da quello preventivo) che il proponente aumenti il valore dell’attivo. Questo, come noto, è un limite della seconda ipotesi, che la rende quasi sempre impraticabile.
E infine, come anticipato, nel concordato finale che comporti un’operazione straordinaria, al curatore possono essere direttamente attribuite le facoltà dell’assemblea dei soci, il che ragionevolmente può diventare un potente strumento acceleratorio.

3. Punti di debolezza ovvero limiti del concordato finale

Mentre nella sezione precedente abbiamo cercato di delineare il “bicchiere mezzo pieno” costituito dai vantaggi di questo istituto, va ora analizzata la parte vuota del bicchiere.
La prima considerazione che si impone è quella per cui il concordato finale interviene solamente dopo la dichiarazione della liquidazione giudiziale, ossia in una fase che il Legislatore ha cercato di evitare, mettendo a disposizione dell’imprenditore una nutrita serie di strumenti alternativi.
Questo aspetto ha un significato, non tanto dal punto di vista strettamente giuridico quanto sotto il profilo economico/aziendale.
Si pensi infatti a un’azienda produttiva di beni di consumo, rispetto ai quali sia necessario fornire servizi post vendita (ad esempio manutenzioni e/o interventi in garanzia). La sola notizia della liquidazione giudiziale è in grado di danneggiare seriamente la reputazione commerciale dell’azienda e non è detto che tale danno possa essere integralmente ripristinato a mezzo di una cessione di azienda tramite
concordato finale.
In generale, tanto più l’azienda rimane in stato di sofferenza, tanto maggiore sarà il danno che ne risentirà (perdita delle migliori risorse umane, deterioramento dei rapporti con clienti e fornitori). E pertanto il concordato finale va considerato come uno strumento per ridurre i danni generati dalla crisi aziendale, ma in questa ottica vanno certamente preferiti i concordati o gli accordi iniziali, laddove intervengano
con sufficiente tempestività.
Fatta questa importante premessa e considerando invece l’utilizzo dello strumento in un contesto già deteriorato (ossia il presupposto del concordato finale), lo strumento come sopra detto contiene degli elementi di sicuro interesse, che lo rendono preferibile alla liquidazione giudiziale e, per certi versi come detto, rispetto a quello preventivo.
Il principale inconveniente del concordato finale, in questo senso, è rappresentato dalle forti limitazioni che incontra il debitore, rispetto ai creditori e ai terzi, nella formulazione della proposta concordataria. Secondo certi autori, si tratta di una scelta non abbastanza coraggiosa del Legislatore, che sembrerebbe contraddire il favor per il debitore rispetto alla logica della Legge Fallimentare.
Il fatto di limitare la proposta del debitore, se da un lato può spiegarsi con una sorta di diffidenza/punizione nei confronti del debitore e di possibili speculazioni da parte di quest’ultimo, limita le potenzialità di fresh restart che abbiamo evidenziato più sopra. Del resto, dal punto di vista pratico, chi meglio dell’imprenditore conosce l’azienda, le sue potenzialità inespresse e il modo di rilanciarla al meglio?
Appare quindi evidente che tali limitazioni alla proposta debitoria, sotto il mero profilo del rilancio aziendale, appaiono controproducenti.
Val la pena di ricapitolarle, per completezza di esposizione.
La proposta concordataria, se proveniente dal debitore, non può essere formulata se non decorso almeno un anno dalla apertura della liquidazione giudiziale e non oltre due anni dall’esecutorietà dello stato passivo.
La proposta del debitore, di società cui egli partecipi o di società sottoposte a comune controllo, è inoltre ammissibile solo se prevede l’apporto di risorse che incrementino il valore dell’attivo di almeno il dieci per cento. Tale onere non si applica invece alla proposta dei creditori e dei terzi interessati.
Il coniuge, la parte di un’unione civile, il convivente di fatto del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, sono esclusi dal voto rispetto alla proposta concordataria (mentre il creditore proponente il concordato ovvero le società che si trovino nella relazione ex art. 2359 c.c. votano, seppure in classe apposita.
Soprattutto il primo degli elementi suddetti (ossia la finestra temporale imposta al debitore) penalizza il fresh restart auspicato da molti operatori e non resta quindi che augurarsi, de jure condendo, che tale impostazione venga superata, se non altro perché concettualmente poco armonica rispetto all’impostazione generale del CCII.

Per gentile concessione dell'Editore Il Sole 24 Ore

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