Il rimborso delle accise sull’elettricità finisce all'esame della Corte Costituzionale

29/07/2021

Il rimborso delle accise sull’elettricità finisce all'esame della Corte Costituzionale
A cura di Monica Secco
Il Collegio arbitrale di Vicenza, chiamato a risolvere la controversia sull’obbligo del venditore di restituire l’accisa elettrica indebitamente pagata, rimette la questione alla Consulta.

Finisce all’esame della Corte Costituzionale la questione delle modalità del rimborso dell’addizionale provinciale all’accisa elettrica indebitamente pagata per gli anni 2010 e 2011.
Il Collegio arbitrale di Vicenza, chiamato a risolvere la controversia sull’obbligo del venditore di rimborsare l’addizionale provinciale all’accisa, ha sospeso il giudizio e sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 14 del D.Lgs. 504/1995.

Ricostruendo la vicenda, ricordiamo infatti che l’art. 6 comma 1 del decreto-legge n. 511/1988 aveva istituito un’addizionale all’accisa sul consumo di energia. L’addizionale veniva addebitata in fattura dal venditore al cliente e riscossa contestualmente al corrispettivo della fornitura; l’addizionale così riscossa veniva poi riversata dal venditore all’Erario.
L’addizione provinciale è stata successivamente abrogata dall’art. 4, comma 10, decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 a decorrere dal 1° aprile 2012 per contrasto con la normativa unionale. Il contrasto della normativa nazionale con il diritto comunitario - ravvisato dallo stesso legislatore - è stato poi ripetutamente dichiarato dalla Corte di cassazione, investita della questione a seguito dei ricorsi per il rimborso dell’accisa indebitamente pagata da parte di numerose società. Con orientamento costante a partire dalla pronuncia n. 27101/2019 del 23 ottobre 2019, la Suprema Corte ha statuito che l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica deve essere disapplicata e che le somme pagate a tale titolo costituiscono un indebito oggettivo, con il conseguente diritto degli utenti non domestici al rimborso delle medesime, nel termine prescrizionale di dieci anni dalla data di pagamento (vedasi, da ultimo, Cassazione sentenza n. 10690 del 5 giugno 2020).

Ora, ai sensi delle varie normative sull’applicazione e rimborso dell’accise e dei principi giurisprudenziali espressi sia dalla Giurisprudenza Comunitaria che dalla Cassazione:
- obbligato al pagamento delle accise (e relativa addizionale) nei confronti dell’amministrazione finanziaria è unicamente il fornitore;
- il fornitore può addebitare integralmente le accise (e relativa addizionale) pagate al consumatore finale;
- i rapporti tra fornitore e amministrazione finanziaria e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro;
- in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’amministrazione finanziaria il rimborso delle accise (e/o relativa addizionale) indebitamente corrisposte;
- il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che può esercitarlo però nei confronti dell’amministrazione finanziaria nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza. Solo eccezionalmente il cliente finale può richiedere il rimborso anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria allorquando alleghi che l’azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore);
- solo una volta che sia stata esercitata vittoriosamente da parte del consumatore finale l’azione di rimborso nei confronti del fornitore, quest’ultimo ha novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza per far valere il diritto al rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria.

Nell’Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzione, il Collegio rileva che tale normativa si pone in contrasto non solo con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, ma anche con viversi articoli della Costituzione.
Molte sono le argomentazioni che hanno portato il Collegio a rimettere la decisione alla Corte Costituzionale.
Tra le altre, si legge nell’ordinanza, “l’onere imposto dalla legge al venditore di rimborsare un indebito per violazione del diritto comunitario priva lo stesso delle risorse economiche necessarie allo svolgimento della propria attività, con il rischio di insolvenza e conseguente estinzione, per un fatto o inadempimento non imputabile allo stesso, ma al legislatore dello Stato membro, così arrecando pregiudizio al contenuto essenziale del diritto costituzionale alla libera iniziativa economica”.
Ancora, scrive il Collegio, “l’onere di ‘anticipare’ le somme percepite indebitamente in virtù di una sentenza provvisoriamente esecutiva, con la possibilità di recuperare le somme solo dopo anni (divergenza temporale tra sentenza provvisoriamente esecutiva, che obbliga il venditore a corrispondere l’indebito comunitario, e passaggio in giudicato della sentenza che legittima la richiesta di restituzione delle somme anticipate), comporta uno sbilancio finanziario irragionevole ed inaccettabile, che pregiudica l’attività di impresa propria del venditore”.
Del tutto irragionevole e arbitrario” infine secondo i giudici, l’obbligo per i venditori di “sostenere una difesa giudiziale, per una moltitudine diffusa di procedimenti, con costi ingenti a proprio esclusivo carico senza alcuna possibilità di rimborso”, soprattutto “quando il diritto del cliente al rimborso appare chiaro e delineato alla luce della condivisibile giurisprudenza della Corte di Cassazione”.
Sulla questione è stata ora coinvolta anche la Corte Costituzionale su una  partita che vale complessivamente circa 3,4 miliardi di euro.


 

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