Compensazione IVA in ambito fallimentare

E’ stato chiesto ai Dipartimenti Ristrutturazioni e Assistenza nella crisi d’impresa e Consulenza Tributaria Corporate se, nell’ambito della procedura fallimentare, il Curatore possa compensare il credito IVA maturato prima dell’apertura del fallimento con il debito IVA sorto a seguito dell’affitto d’azienda effettuato nel corso della procedura stessa.

La normativa tributaria consente due tipologie di compensazione: quella orizzontale, che riguarda crediti e debiti relativi a tributi e contributi tra loro diversi, e quella verticale, che invece si riferisce alla medesima imposta; nel caso in esame si è in presenza di una compensazione verticale in ambito IVA, ovvero della detrazione dell’IVA a credito, come risultante dalla dichiarazione relativa al periodo pre fallimentare (cd. modello 74-bis), nelle successive liquidazioni IVA.

Si tratta di questione piuttosto discussa, sia in ambito amministrativo che in seno alla giurisprudenza di legittimità.

La prassi ministeriale ed amministrativa ha espressamente consentito la detrazione, ritenendo che l’apertura del fallimento non incida sulla continuità gestionale e sull’attività economica rilevante ai fini IVA, così seguendo l’impostazione della Corte Costituzionale per cui la fase di gestione e quella di liquidazione sarebbero considerabili un unicum. Peraltro, la richiesta di  rimborso di tale credito, in luogo della detrazione, sarebbe preclusa dal fatto che il modello 74-bis non avrebbe natura di dichiarazione, bensì il solo scopo di permettere all’Amministrazione l’insinuazione al passivo fallimentare, come previsto dall’art. 8, co. 4 del D.P.R. n. 322/1998.

In senso opposto si è invece espressa a più riprese la Corte di Cassazione, per la quale il modello 74-bis sarebbe effettivamente equiparabile ad una dichiarazione di cessazione dell’attività, con conseguente  diritto al rimborso dell’IVA a credito ivi risultante.
Nell’ambito di tale filone giurisprudenziale, la Suprema Corte si è spinta fino al punto di dichiarare non praticabile la compensazione in verticale dell’IVA, attesa la supposta interruzione dell’attività di impresa a causa del fallimento e la diversità dei due soggetti contribuenti – ossia imprenditore e curatore (cfr. Cass. n. 19169/2003). 

Tale orientamento è stato fermamente osteggiato dalla prevalente dottrina, per cui le conclusioni della giurisprudenza di legittimità non sarebbero supportate da alcun riferimento normativo, ritenendo invece che la compensazione debba ritenersi in ogni caso pacificamente ammessa, purché nel rispetto del fondamentale principio della par condicio creditorum. A questo proposito è stato rilevato che, in ogni caso, la compensazione tra un debito post fallimento e un credito ante fallimento non pregiudicherebbe l’esecuzione concorsuale.

Alla luce del complesso quadro normativo, giurisprudenziale, oltre che di prassi e dottrina, è possibile concludere nel senso dell’ammissibilità della compensazione in argomento. 
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