Deducibilità compensi amministratori: ulteriori criticità e spunti difensivi

25/03/2021

Deducibilità compensi amministratori: ulteriori criticità e spunti difensivi
A cura di Marco Bevilacqua

Il presente contributo, sulla scia del precedente focus sull’argomento, traendo le mosse dalla recente pronuncia n. 7329/2021 della Cassazione, segnala taluni altri profili critici, nonché conseguenti spunti difensivi, in ordine all’inquadramento tributario dei compensi agli amministratori.

La recente pronuncia della Cassazione n. 7329/2021, offre l’occasione, dopo il precedente approfondimento sul tema, per tornare a riflettere su alcuni profili critici che emergono dalla lettura della giurisprudenza tributaria in punto di compensi agli amministratori di società di capitali.

Orbene, in argomento, la statuizione in parola riafferma due principi:
  1.  ove la misura dei suddetti compensi non sia già determinata nell’atto costitutivo, è necessaria un’apposita deliberazione assembleare ai fini della deducibilità di detti costi, quale presupposto costitutivo della loro certezza e fonte di tale obbligazione patrimoniale;
  2. l’indeducibilità non configura un’illegittima doppia imposizione, ma una duplicazione meramente economica del prelievo sullo stesso reddito, mediante due distinti tributi aventi requisiti differenti, in capo a due diversi contribuenti (società ed amministratore), alla stregua di quanto accade in tema di distribuzione ai soci degli utili di società commerciali.
Ciò posto, fra le varie osservazioni che si possono sviluppare al riguardo, appare interessante sottolineare come la giurisprudenza della Corte vada quindi ad applicare ad un costo deducibile per cassa ai sensi dell’art 95 del Tuir il requisito della certezza (e obiettiva determinabilità) che è invece richiesto per la deduzione degli oneri per competenza.

E da tale aporia scaturiscono ulteriori criticità, poiché così ragionando il concetto di competenza potrebbe anche sembrare, invece che concorrente, prevalente e prescindente rispetto a quello di cassa con l’effetto che le richiamate due imposizioni, in capo alla società ed all’amministratore, siano a quel punto paradossalmente anche suscettibili di disallinearsi sotto il profilo temporale (risultato, questo, definito incongruo dalla stessa Cassazione con la pronuncia n. 20033/2017).
Da questo punto di vista, difatti, si potrebbe ritenere che:
  1. da un canto, l’aggravio impositivo in capo all’amministratore rimanga più rigidamente ancorato al principio di cassa;
  2. dall’altro, nella prospettiva della deduzione societaria, per effetto dell’applicazione del principio di competenza, un’eventuale deliberazione assembleare postuma consenta altresì il rinvio della deduzione al momento in cui, ai sensi dell’art. 109 del Tuir, intervengano la certezza e l’obiettiva determinabilità del costo.
La Cassazione, del resto, pur avendo rimarcato la deduzione per cassa con le recenti statuizioni n. 17367/2020 e 22479/2020, con la pronuncia n. 21953/2015 aveva affermato la possibilità di rinvio della deduzione allorché il costo non fosse obiettivamente determinabile precedentemente per obiettivo impedimento. La Corte, in quell’occasione, in linea con taluni altri propri arresti, aveva evidenziato che non è dato al contribuente scegliere discretivamente l’esercizio temporale di deduzione. Perciò, seguendo questa impostazione ed i sottesi indirizzi giurisprudenziali, si potrebbe ritenere, nell’ottica del ridetto fine d’evitare arbitri, che il rinvio de quo sia giustificabile previa prova dell’oggettiva impossibilità di determinazione, per mancanza della delibera ed altri elementi, nell’esercizio anteriore.

Questi spunti potrebbero quindi tornare utili in chiave difensiva, al fine di puntare ad un ridimensionamento della pretesa erariale.
 

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