Punto di vista di Don Carlo Vinco

Le conseguenze del Coronavirus sulle Case di Riposo

Mi è stato chiesto dagli Amici della rubrica "Punti di vista..." il mio personale contributo sul binomio Coronavirus e Case di Riposo; a tal proposito, analisi economiche, finanziarie, aziendalistiche rilevano che, purtroppo, nulla sarà come prima. 

Per molte attività economiche, l’emergenza del Coronavirus sarà motivo di chiusura e disperazione, per altre l’occasione di una conversione, l’opportunità per dimostrare la capacità di flessibilità, di creatività, di forza. Questo cambiamento, però, influirà anche sull’aspetto sociale e delle relazioni umane, argomento a me molto caro, perché questa epidemia ci ha costretto e ci costringerà a tenere “le distanze” soprattutto dalle persone anziane, ovvero da coloro che hanno più bisogno di affetto, di attenzione, di sostegno, di cura. 

In queste terribili settimane, abbiamo condiviso lo smarrimento e l’angoscia delle famiglie costrette ad abbandonare una persona cara alla totale solitudine nel momento più doloroso e faticoso dell’esistenza. Nessuna carezza, nessuno sguardo, nessun sorriso, nessuna parola da parte di chi lo ha amato e che lui/lei ha amato a sua volta.

Ancora di più, ci impressiona il fatto paradossale che molti anziani colpiti dal virus erano ospiti di Residenze per persone non autosufficienti, dove i figli, spesso con molta fatica e dispiacere, e anche con notevole impegno economico, li avevano portati con la speranza di allungare i loro giorni di vita e per meglio accompagnarli nei mesi della fragilità e della decadenza.

In 25 anni di presenza, anche come Presidente, in un Ente nella provincia di Verona che gestisce Case per anziani non auto sufficienti e disabili adulti, ho seguito l’evoluzione, sia di sviluppo sia culturale, delle Case di Riposo del nostro territorio. Molte di esse hanno risistemato i loro ambienti portando vecchie strutture a condizioni di grande funzionalità e di accoglienza. La loro attività di formazione permanente ha innalzato il livello qualitativo del sistema di accudimento della persona e il rispetto della sua dignità, anche nelle condizioni più fragili. Nel contempo, sono migliorati sia il rapporto interno fra i diversi ruoli e professionalità sia la relazione e il coinvolgimento dei familiari.

Inoltre, con il trascorrere del tempo, è maturata in maniera pressoché diffusa la cultura dell’accompagnamento alla morte, fatta di presenza, parole, gesti, anche a sostegno dei familiari. Questa cultura ha fatto sì che si sviluppasse una cura molto affettiva e nel contempo anche molto professionale. 

Per anni abbiamo guardato a strutture all’estero che sembravano molto più avanzate delle nostre. Poi via via ho potuto valutare come il nostro cammino ci abbia avvicinato sempre di più ai modelli migliori, tanto che, in questi ultimi anni, accanto all’evidenza continua di questioni da migliorare, ho raccolto spesso la riconoscenza dei familiari, nonché la passione e l’orgoglio degli operatori. Anche e soprattutto per questo, le immagini delle scorse settimane addolorano e sconvolgono particolarmente.

Mi permetto di esprimere un punto di vista su un argomento a cui tengo particolarmente. 
Molte Residenze, anche ben attrezzate e di buona organizzazione, sono state letteralmente travolte dall’epidemia e si sono trovate in una bufera difficilmente gestibile. Ci sono dei motivi? Io credo di sì. Ma cercare motivi non vuol dire necessariamente evidenziare colpe, come talvolta sembra trasparire nelle cronache di questi giorni.

Innanzitutto, in questi anni le Residenze si sono impegnate per creare ambienti sempre più favorevoli alla presenza di familiari e volontari a iniziative del territorio; passi importanti che hanno permesso di far vivere gli Ospiti in ambienti vivi, accoglienti, sempre più aperti ad una cultura di solidarietà e di rispetto dei diritti del cittadino che ha bisogno di assistenza. In emergenza Coronavirus, in alcune strutture, questo atteggiamento, considerato normalmente positivo, ha impedito una chiusura immediata e radicale, rivelandosi in pochi giorni, un grande limite.
Inoltre le “nostre” Residenze per anziani pagano l’ambiguità di essere Residenze socio-assistenziali, ma in realtà sempre più coinvolte nell’assistenza a persone fortemente bisognose di assistenza sanitaria, che gli standard regionali dovrebbero probabilmente tarare in modo diverso rispetto alle precedenti valutazioni. Certamente, fino ad oggi, nessuna Casa di Riposo aveva mai programmato delle sezioni di isolamento adatte a ipotesi di diffusione di malattie infettive.

Infine, l’analisi della situazione epidemiologica da parte dell’autorità sanitaria poteva essere sviluppata in primis nelle strutture per anziani, dove la fragilità degli Ospiti, la promiscuità, l’impreparazione ad una simile emergenza e la mancanza di strumenti difensivi, potevano far prevedere la diffusione della malattia.

Alla luce di questa breve analisi, oggi la richiesta più urgente è chiederci “cosa si dovrà fare dopo”, poiché molte famiglie continuano ad avere bisogno di strutture in grado di accogliere gli anziani fragili, non autosufficienti, colpiti da demenze gravi; strutture in grado di offrire protezione e cura.  

E’ vero che la paura, le incertezze, i drammi e soprattutto i dubbi spesso sollevati in questi giorni, rischiano di aver creato un clima di sfiducia o di diffidenza da parte delle famiglie nei confronti delle reali capacità protettive di queste Residenze. Ed è logico domandarsi se tale clima permetterà ancora agli operatori di riuscire a coinvolgersi nell’impegno di assistenza e di cura con l’entusiasmo e la dedizione espressi in questi ultimi anni. 

I fatti ci dimostrano che l’assistenza andrà ripensata in maniera più mirata e specializzata per situazioni sanitarie complesse, ma l’importanza delle Case di Riposo e il sostegno che hanno dato, e che continuano a dare, a situazioni di degrado che rischiano di compromettere la dignità umana, non possono essere messi in discussione. In questi mesi di chiusura all’accoglienza, infatti, molte famiglie hanno vissuto situazioni di estrema difficoltà, dovendo accudire in totale solitudine anziani non autosufficienti, anziani dimessi dall’ospedale, anziani con patologie neurologiche. 

Una seconda riflessione è che, oggi più di prima, la persona malata ha bisogno di mantenere i rapporti con i propri cari in qualunque situazione. Certo, in maniera protetta, sicura, rispettosa della persona e delle strutture, ma si tratta di un diritto inalienabile che comporta l’individuazione di spazi, modalità e strumenti che garantiscano il superamento dell’isolamento e della solitudine, cui abbiamo assistito in questi giorni.

Infine è evidente che, prima di attribuire colpe o esprimere facili giudizi denigratori, è importante analizzare le possibilità, conoscere la storia, gli aiuti pervenuti e non, e le difficoltà economiche che possono aver caratterizzato uno stato di crisi.

Concludo pensando che molte Residenze abbiano fatto tanto in queste settimane, certamente quanto era loro possibile, pur nella confusione delle notizie, pur nella difficoltà di reperire mezzi di protezione, pur nella fragilità della riorganizzazione, pur nella consapevolezza di non essere adatte e neanche deputate a certi compiti. E’ per questo che quando il racconto della cronaca rischia di far sospettare inadeguatezze o addirittura colpe, forse c’è bisogno prima di tutto di rispetto nei confronti delle persone e di estrema prudenza nei giudizi.

Nei vari Istituti colpiti dall’epidemia, in queste settimane, quegli operatori e quegli infermieri che in questi anni hanno imparato ad interagire con il malato di Alzheimer, a costruire momenti di vita per alleggerire le sofferenze, ad accogliere l’angoscia dei familiari, a restare accanto al morente con tenerezza e professionalità, sono stati per tutti noi esempi di vita, di fedeltà e di umanità, con lo stesso eroismo degli infermieri e medici ospedalieri, forse con meno mezzi pratici e formativi a disposizione, ma di certo con profonda responsabilità. Alcuni di loro, purtroppo, sono stati anche contagiati. 

A loro e a tutti i lavoratori delle Case di Riposo deve andare la stima e il grazie della collettività, perché è con loro, che si deve affrontare il presente in queste strutture ed è con loro che si deve ragionare sul futuro partendo da un altro punto di vista.  

Don Carlo Vinco
Già Presidente della Fondazione Pia Opera Ceccarelli e Parroco della Parrocchia Tempio Votivo Verona
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