Ammissibilità della scissione c.d. negativa

Nell’ambito della valutazione preliminare di una complessa operazione straordinaria, riguardante un Gruppo operante a livello internazionale, è stato chiesto al Dipartimento Company Law ed Operazioni Straordinarie se possa ritenersi ammissibile una scissione c.d. negativa.
Innanzitutto occorre ricordare che, secondo l’attuale nozione civilistica ex art. 2501, c. 1, c.c., con la scissione “una società assegna l’intero suo patrimonio a più società, preesistenti o di nuova costituzione, o parte del suo patrimonio, in tal caso anche ad una sola società, e le relative azioni o quote ai suoi soci”. Pertanto l’operazione di scissione realizza un fenomeno di disaggregazione del patrimonio il quale viene assegnato ad una o più società beneficiarie.
Tanto premesso, venendo al quesito posto all’attenzione del Dipartimento, si evidenzia che con il termine “scissione negativa” si fa riferimento ad un’operazione di scissione avente ad oggetto un patrimonio con saldo contabile di valore negativo, essendo il valore contabile delle attività assegnate inferiore rispetto al valore contabile delle passività trasferite per effetto della scissione. Tra le motivazioni economiche alla base di una scissione negativa si possono evidenziare la gestione del passaggio generazionale, il fronteggiamento di uno stato di crisi nonché processi di decentramento o concentrazione (cfr. E. Holzmiller, Operazioni di scissione negativa per riorganizzazione aziendale, in Sistema Società, n. 2/Febbraio 2011, p. 89).
Sull’ammissibilità di detta operazione, nel corso degli anni, si sono riscontrati diversi orientamenti in dottrina, che di seguito brevemente si riassumono (cfr. C. Di Bitonto, La c.d. “scissione negativa” (reale) è inammissibile, Le Società n. 6-2014, pp. 667 e ss.):
I) Orientamento che richiede patrimonio scisso contabilmente positivo.
Secondo un primo orientamento gli elementi essenziali della scissione sono rappresentati dalla separazione patrimoniale nonché dall’assegnazione di partecipazioni sociali ai soci della scissa sulla base di un rapporto di cambio, sicché si ritiene che il presupposto implicito sia rappresentato da un patrimonio che abbia sempre un saldo contabile positivo, che permetta di incrementare il patrimonio della società beneficiaria o di costituirla se essa è di nuova costituzione.
II) Orientamento che ammette patrimonio scisso contabilmente negativo ma richiede valore corrente positivo.
Secondo altro orientamento, che si ritiene di condividere, è ritenuta ammissibile una scissione di un patrimonio scisso che presenti un valore contabile negativo ma un valore corrente positivo, in quanto, come rilevato in dottrina, “nella fattispecie in esame, analogamente a quanto avviene in quelle in cui il netto scisso ha valore positivo, è possibile riscontrare uno scambio economico ove la beneficiaria, come contropartita dell’assunzione nel proprio patrimonio di elementi attivi e passivi della scissa di valore complessivo positivo, corrisponde ai soci di quest’ultima azioni o quote di partecipazione nel proprio capitale” (cfr. L. Bertoli, Scissione di un ramo d’attività avente valore negativo (c.d. scissione negativa), Giur. Comm. 2011, Fasc. 5, p. 743).
A favore di tale orientamento si è espresso il Comitato Triveneto dei Notai con orientamento L.E.1, secondo cui “è ammissibile la scissione, anche non proporzionale, mediante assegnazione ad una o più beneficiarie di un insieme di elementi patrimoniali attivi il cui valore contabile sia inferiore a quello dell’insieme degli elementi passivi (cosiddetta “scissione negativa”), sempreché il valore di quanto complessivamente assegnato sia positivo. In tal caso si ritiene che la  beneficiaria della “scissione negativa” debba essere preesistente e l’operazione debba alternativamente attuarsi:
  1. Mediante riduzione delle riserve della beneficiaria (ovvero, in carenza di riserve capienti, del capitale), in misura tale da assorbire il netto contabile trasferito;
  2. Mediante rilevazione della minusvalenza.
[…] Al contrario non si ritiene ammissibile una scissione “negativa” nell’ipotesi in cui anche il valore reale del patrimonio assegnato (comprensivo dell’eventuale avviamento) sia negativo, poiché in tal caso non potrebbe sussistere alcun rapporto di cambio. È inoltre da rilevare che una scissione “realmente negativa”, anche laddove non sia necessario determinare un rapporto di cambio, risulterebbe priva di utilità per la società beneficiaria e produrrebbe comunque un’alterazione del valore economico delle partecipazioni preesistenti, in ciò contrastando con la causa stessa di tal(e) operazione”.
Sulla stessa linea anche l’OIC 4 sub paragrafo 4.3.3 secondo cui “è tuttavia ammessa, in accordo con la dottrina, anche l’ipotesi che il valore contabile del patrimonio netto trasferito ad una beneficiaria sia negativo (perché le passività superano le attività) purché però il valore economico sia positivo e si tratti di società beneficiaria già esistente. In questa ipotesi, nel caso di scissione parziale, a seguito del trasferimento la società scissa imputerà a riserva la differenza negativa fra attività e passività dell’azienda trasferita (che per essa costituisce un componente positivo del patrimonio netto.
Nella massima n. 72/2005 del Notariato di Milano non viene invece invocato il limite della preesistenza della società beneficiaria purché la differenza fra valore reale e valore contabile del patrimonio scisso – rappresentata dal disavanzo da concambio – venga supportata da apposita relazione giurata di stima ex artt. 2343 o 2465 c.c.
A supporto dell’orientamento testé richiamato si richiama peraltro la recente sentenza Cass. Civ., Sez. I, 20 novembre 2013, n. 26043, la cui massima ufficiale riporta che “Nel caso di scissione di società, qualora il valore reale del patrimonio attribuito alla società neo-costituita sia negativo, si realizza un’ipotesi di scissione cosiddetta negativa, da ritenersi non consentita, in quanto non potrebbe sussistere alcun valore di cambio e, conseguentemente, non potrebbe aversi una distribuzione di azioni”. Nel caso oggetto della richiamata sentenza, l’operazione in esame pareva realizzata al fine di creare una apparente situazione di solvibilità della società scissa, trasferendo ad una società di nuova costituzione delle passività superiori alle attività. In tal modo, l’operazione finirebbe per sostanziarsi in un vero e proprio accollo mascherato di debiti da parte di una società – che potrebbe essere di nuova costituzione, ovvero anche già esistente – andando oltre quella che dovrebbe essere la causa giuridica della scissione, ossia una modalità di proseguire i rapporti societari in una struttura organizzativa diversa, in modo particolare secondo la più recente e maggioritaria dottrina che vede nella scissione, ed anche nella fusione, una vicenda meramente modificativa dell’assetto sociale delle società partecipanti (cfr. F. Landuzzi, La scissione negativa e i paletti fissati dalla Cassazione, Euroconference, Luglio 2014).
Nell’ambito dell’analisi di tale orientamento rimane da chiedersi quali situazioni possano dar luogo a rami aziendali con valore contabile negativo ma valore corrente positivo; orbene, in dottrina si richiamano quali esempi il caso in cui vi sia una sottostima degli elementi patrimoniali relativi alle immobilizzazioni acquisite tramite contratti di leasing (infatti i beni in leasing vengono indicati nello stato patrimoniale solo al momento del riscatto e sono valorizzati al prezzo di riscatto, che di norma è molto basso) ovvero rami d’azienda che, nonostante la valorizzazione contabile negativa, abbiano forti potenzialità future di produzione di reddito, il che determina un valore economico positivo dei rami stessi (per esempio, con la possibilità “aggiuntiva” che, a seguito del trasferimento in una società beneficiaria, si possa usufruire di notevoli vantaggi in termini di rete di vendita, di personale specializzato o dei risultati raggiunti dalla “ricerca e sviluppo”) (cfr. E. Holzmiller, Operazioni di scissione negativa per riorganizzazione aziendale, op. cit.)
III) “Orientamento che ammette patrimonio scisso con valori contabili e correnti negativi”
Come rilevato da studioso della problematica, a differenza degli orientamenti dianzi esposti, ricorre una certa omogeneità di opinioni che ritengono inammissibile una scissione (totale o parziale) “realmente negativa” ossia quella in cui il patrimonio scisso presenti un valore non solo contabile ma anche effettivo negativo (C. Di Bitonto, La c.d. “scissione negativa” (reale) è inammissibile, op. cit). Tale forma scissoria contrasterebbe innanzitutto “con la stessa struttura propria della scissione, in forza della quale i soci della scissa, che da un lato subiscono un depauperamento patrimoniale dovuto alla riduzione di patrimonio della loro partecipata (la scissa), dall’altro vengono ricompensati dall’ottenimento, in concambio, di azioni o quote della beneficiaria” (cfr. L. Bertoli, Scissione di un ramo d’attività avente valore negativo (c.d. scissione negativa), op. cit., p. 741); altresì, “risulterebbe priva del carattere fondante della prosecuzione dei rapporti sociali con modalità organizzative e strutturali modificate […], risolvendosi in realtà in un mero accollo di debiti” (Aiello-Cavaliere-Cavanna-Cerrato-Sarale, Le operazioni societarie straordinarie, V, 2, in Cottino (a cura di), Trattato di Diritto Commerciale, Padova, 2011, 608).
In conclusione, alla luce degli orientamenti suesposti, si ritiene di aderire all’orientamento sub II) ― che trova consenso nella dottrina maggioritaria, nella prassi ragionieristica e notarile nonché in sede giurisprudenziale ― secondo cui deve ritenersi consentita la scissione di un patrimonio che presenti valore contabile negativo purché lo stesso abbia un valore corrente/effettivo positivo.

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